Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
PARENTI TERRIBILI
di Jean Cocteau
traduzione Monica Capuani
con Filippo Dini, Milvia Marigliano, Mariangela Granelli, Filippo Dini, Giulia Briata, Cosimo Grilli
regia Filippo Dini
scene Maria Spazzi
costumi Katrina Vukcevic
luci Pasquale Mari
musiche Massimo Cordovani
Teatro Stabile del Veneto Teatro Nazionale, Fondazione Teatro Stabile di Torino, Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli Teatro Bellini, Teatro Stabile Bolzano
Roma, 14 gennaio 2025
Nel tumultuoso paesaggio del teatro contemporaneo, “Parenti Terribili” di Filippo Dini si erge come una messa in scena che si interroga sul senso stesso della rappresentazione drammatica. Non è un caso che l’opera di Jean Cocteau, originariamente concepita come un’ardita esplorazione delle dinamiche familiari, venga qui reinterpretata attraverso una lente che amplifica il grottesco e il sublime, portandoli a un confronto senza compromessi. La famiglia disfunzionale che anima la trama è una sorta di microcosmo claustrofobico, un laboratorio di nevrosi e ossessioni dove ogni personaggio si muove come un automa, intrappolato in un circuito chiuso di desideri irrealizzati e conflitti irrisolti. Yvonne, la madre nevrotica e insulino-dipendente, incarna un modello archetipico di figura materna divorante, quasi una parodia tragica della Medea euripidea. La sua ossessione per il figlio Michel è il perno attorno a cui ruotano le dinamiche familiari, in un crescendo di tensioni che culminano in un epilogo di simbolismo struggente.
Filippo Dini, regista e interprete, non si limita a “mettere in scena” Cocteau: egli reinventa, sovverte e amplifica. La sua regia è un esercizio di meticolosa precisione, dove ogni pausa, ogni sguardo e ogni movimento sembrano orchestrati da un ritmo interiore che si avvicina a un’astrazione musicale. Il Georges di Dini è un uomo patetico e tragico insieme, un fallito inventore che personifica l’incapacità di conciliare il desiderio di progresso con il peso delle responsabilità familiari. La scena diventa così un luogo di tensione costante, dove il confine tra reale e simbolico si dissolve in un’alchimia di luci, ombre e movimenti. La scenografia di Maria Spazzi è un ulteriore elemento che merita di essere sottolineato. Le pareti mobili, metafora del disvelamento e dell’instabilità delle relazioni, trasformano gli spazi chiusi della casa in un palcoscenico onirico.
La stanza soffocante di Yvonne e la modernità algida dell’appartamento di Madeleine rappresentano due poli opposti, ma interdipendenti, di un universo teatrale che riflette l’incubo interiore dei personaggi. Mariangela Granelli offre una prova attoriale che è allo stesso tempo monumentale e intima. La sua Yvonne, intrappolata in un letto che diventa simbolo di una prigionia volontaria, è il centro gravitazionale dell’opera. Ogni suo gesto, ogni inflessione della voce, traduce le nevrosi del personaggio in un’espressione di sofferenza universale. Granelli riesce a dare corpo e anima a un personaggio che è, al contempo, vittima e carnefice, madre e amante, in una stratificazione di significati che solo un’attrice di rara sensibilità può rendere.
Di pari livello è la performance di Milvia Marigliano nei panni di Léonie. Il suo personaggio, meno esposto alla tempesta emotiva della trama principale, funge da contrappeso razionale, ma è proprio nella sua apparente freddezza che si nasconde una complessità umana struggente. La Marigliano riesce a portare in scena un’ironia sottile e una precisione chirurgica nei gesti, rendendo Léonie un personaggio indimenticabile. Giulia Briata incarna una presenza scenica di notevole intensità, sublimata da una gestualità raffinata e calibrata, che eleva la narrazione oltre il dialogo, traducendo le profondità emotive di Madeleine in un’armoniosa sinergia con le tensioni drammatiche dell’opera. Fondamentale è inoltre il contributo dei costumi di Katrina Vukcevic, che riescono a tradurre visivamente le dinamiche emotive e psicologiche dei personaggi. Ogni dettaglio sartoriale, dal candore inquietante dell’abito di Yvonne alla sobrietà ambigua degli indumenti di Léonie, diventa parte integrante della narrazione.
Le luci di Pasquale Mari aggiungono una dimensione ulteriore, giocando con ombre e chiaroscuri per enfatizzare i momenti di maggiore intensità drammatica. La modulazione luminosa non è solo tecnica, ma espressiva: una vera partitura visiva che accompagna e amplifica la regia di Dini. Le musiche originali di Massimo Cordovani, infine, sono il filo sonoro che lega le diverse atmosfere della rappresentazione. Con un uso sapiente dei contrappunti melodici, Cordovani costruisce un tappeto sonoro che avvolge la platea, sottolineando i passaggi più emblematici senza mai sovrastare l’azione scenica. Il finale dell’opera è un trionfo di teatralità: il corpo di Yvonne, avvolto in un abito bianco che richiama una purezza corrotta, diventa il fulcro di un epilogo che fonde simbolismo e pathos.
Michel, interpretato con acerba intensità da Cosimo Grilli, si abbandona a un delirio che è tanto personale quanto universale, un’esplosione di dolore che lascia il pubblico sospeso tra compassione e orrore. “Parenti Terribili” di Filippo Dini non si limita a raccontare una storia: è un’indagine profonda sulle ossessioni, le fragilità e le contraddizioni che definiscono l’essere umano. La sala, avvolta dagli applausi scroscianti di un pubblico visibilmente colpito, ha tributato a questo capolavoro teatrale un riconoscimento che non è solo estetico, ma anche intellettuale. In un panorama spesso dominato dalla superficialità, Dini e il suo cast ci ricordano che il teatro, quando è arte autentica, può ancora essere un luogo di confronto con le più oscure profondità dell’animo umano.