Roma, Teatro Sala Umberto
IL PROFESSIONISTA
scritto e diretto da Tommaso Agnese
con Edoardo Purgatori, Claudia Vismara, Luigi Di Fiore
e con Paolo Perinelli, Gabriel Zama, Paolo Maras, Antonino Iuorio
con musiche originali di Stefan Larsen
produzione bpresent e gravity creations
Roma, 09 gennaio 2025
Al Teatro Sala Umberto si consuma una parabola di lucida disperazione e cinismo con Il Professionista – Nella mente di un sicario, una dark-comedy che sembra camminare su un filo sottile tra l’assurdo e il tragico, spingendoci a considerare ciò che rimane di un uomo quando tutto il resto è crollato. Tommaso Agnese, regista e autore, confeziona un’opera che scava con precisione chirurgica nell’animo umano, offrendoci un ritratto che non chiede empatia ma pretende attenzione. Aron, il protagonista, è un sicario professionista che vive in un limbo fatto di caos e routine. L’appartamento in cui abita – freddo, disadorno, e con una geometria che sembra opprimere più che contenere – riflette il vuoto interiore di un uomo che da troppo tempo è abituato a spegnere vite come si spengono luci. Luigi Di Fiore interpreta Aron con una fisicità tesa e calcolata, come un predatore in attesa, ma con lo sguardo di qualcuno che ha visto troppo per credere ancora in qualcosa. È un uomo che misura il mondo con una rassegnazione precisa, la stessa che porta con sé la certezza che non ci sarà mai redenzione. Eppure, c’è un interludio. Juliet, giovane cantante e figura che sembra quasi caduta da un altro universo, irrompe nella vita di Aron e con lei un barlume di possibilità. Claudia Vismara interpreta Juliet con un fascino distante e luminoso, come se il suo personaggio fosse consapevole di essere un’apparizione fugace. La loro relazione, costruita con dialoghi che sembrano appena accennati e tuttavia pieni di peso, non è una storia d’amore, ma piuttosto un confronto tra due mondi che non riescono a toccarsi davvero. Juliet diventa la prova vivente che Aron desidera qualcosa di più, ma anche la conferma che questo qualcosa è irrimediabilmente fuori dalla sua portata. Il vero genio di Agnese, tuttavia, sta nell’inserire una figura che trasforma la narrazione in un balletto psichico: l’alter ego di Aron. Portato in scena con inquietante efficacia da Edoardo Purgatori , questo doppio non è solo un personaggio, ma una forza, un’idea, un giudice invisibile che scandisce ogni passo del protagonista. Le loro interazioni non sono semplici dialoghi, ma duelli verbali in cui ogni battuta taglia più di quanto sembri, e ogni silenzio pesa come un macigno. Edoardo Purgatori riesce a rendere palpabile l’incubo di Aron, a farci percepire la sua lotta con se stesso senza mai scivolare nel patetico. E poi, inevitabilmente, la caduta. Juliet scompare, lasciando solo una lettera d’addio che non offre spiegazioni ma infligge ferite. Aron si rifugia nel cinismo, abbracciando di nuovo il suo ruolo di sicario con un fervore che sa di disperazione. La narrazione accelera, diventando un labirinto di tensioni che culmina in un incontro fatale: Juliet riappare, ma non come salvatrice. La loro seconda interazione, tesa e carica di sottotesti, diventa il punto di non ritorno per Aron, un uomo ormai perso, intrappolato in una spirale di autodistruzione che non lascia spazio a redenzione né pietà. Le scenografie e le luci sono essenziali, quasi minimaliste, ma curate con una precisione che racconta tanto quanto i personaggi. L’appartamento di Aron, con le sue linee dure e i suoi spazi soffocanti, diventa un’estensione della sua mente, un luogo dove non c’è spazio per il superfluo o per il conforto. Le luci, fredde e spietate nei momenti di solitudine, si fanno più calde solo per tradire un’intimità che non dura mai abbastanza. Agnese usa ogni elemento scenico per amplificare il senso di oppressione e di inevitabilità che domina lo spettacolo. Il resto del cast – Paolo Perinelli, Gabriel Zama, Antonino Iuorio e Paolo Maras – arricchisce il quadro con personaggi che, pur rimanendo sullo sfondo, offrono profondità e credibilità al mondo narrativo. Nessuno è superfluo, e ogni interpretazione sembra aggiungere un tassello alla complessità del protagonista, che emerge ancora più chiaramente attraverso i riflessi che lo circondano. Le musiche di Stefan Larsen amplificano la ricchezza espressiva della scrittura di Tommaso Agnese, spaziando da temi noir per clarinetto a brani retro disco con sintetizzatori vintage, duetti piano-voce evocativi della musica popolare anni ’30, fino a pad sonori dal design moderno. Un’esperienza teatrale che abbraccia il tempo e i generi, creando un immaginario unico e stratificato. Il Professionista – Nella mente di un sicario non è un’opera che consola o rassicura. È, invece, un’esplorazione spietata dell’animo umano, un’indagine su ciò che accade quando il desiderio di redenzione si scontra con l’impossibilità di cambiare. Aron non è un personaggio da amare o odiare; è un uomo da osservare, da studiare, da comprendere, forse, solo nei suoi momenti di disperazione. Tommaso Agnese riesce nell’impresa di trasformare un soggetto potenzialmente stereotipato in una narrazione stratificata e universale. E quando le luci si spengono e il pubblico lascia la sala, ciò che rimane non è solo la memoria di un’interpretazione impeccabile o di una regia magistrale. Rimane il peso delle domande che lo spettacolo ci ha costretto a porci, domande che non hanno risposte semplici e che forse non ne avranno mai. In questo risiede la forza di Il Professionista – Nella mente di un sicario: non è solo un viaggio nella mente di Aron, ma anche nella nostra, con tutto ciò che di oscuro e insondabile vi si nasconde.