Roma, Sala Umberto
MISTERO BUFFO
di Dario Fo e Franca Rame
con Matthias Martelli
regia Eugenio Allegri
aiuto regia Alessia Donadi
produzione Teatro Stabile di Torino
distribuzione Terry Chegia
Roma, 03 febbraio 2025
“La risata è cosa seria, è il segno di un pensiero libero”, scriveva Dario Fo in uno dei suoi passaggi più celebri di Mistero Buffo. Nel panorama teatrale contemporaneo, pochi spettacoli conservano la capacità di rinnovarsi pur restando fedeli alla propria essenza. “Mistero Buffo”, capolavoro indiscusso di Dario Fo e Franca Rame, è uno di questi. L’opera, intrisa di una satira tagliente e di una comicità irriverente, si fonda su un impianto narrativo che, attingendo ai Vangeli apocrifi e alla tradizione orale, restituisce una visione profondamente popolare e anti-istituzionale della storia sacra. La tradizione del giullare medievale, di cui Fo è stato uno dei più grandi eredi e innovatori, affonda le radici nel teatro di strada e nella narrazione satirica, capace di sfidare il potere con l’ironia e la provocazione. Matthias Martelli, diretto dal compianto Eugenio Allegri, si fa interprete di questo lascito con una dedizione totale, portando in scena una performance di rara intensità.
Il suo teatro è un atto di resistenza culturale, una dichiarazione d’intenti che ribadisce il valore della parola scenica come strumento di critica e di riscoperta della tradizione giullaresca. La sua esecuzione si muove con agilità tra il lazzo e la denuncia sociale, tra l’ilarità e il grottesco, riuscendo a restituire tutta la potenza del testo originale senza mai scadere nell’imitazione pedissequa del Maestro. Il linguaggio, elemento cardine dell’opera, trova in Martelli un interprete consapevole e meticoloso. L’uso del grammelot, vero e proprio esperanto teatrale di dialetti reinventati, diventa nelle sue mani un’arma affilata per ridicolizzare il potere e dare voce agli ultimi. Come un menestrello medievale, l’attore plasma suoni e gesti in una partitura ritmica che affascina e coinvolge, evocando mondi attraverso il solo uso del corpo e della voce. Il risultato è un palcoscenico spoglio ma vibrante, uno spazio scenico che si riempie di figure e situazioni in un continuo gioco metateatrale.
Il grande merito di Martelli risiede nella sua capacità di far rivivere il testo con una sensibilità moderna, senza forzature didascaliche o ammiccamenti banali alla contemporaneità. I riferimenti politici e sociali emergono in maniera naturale, senza risultare mai gratuiti: la storia, come sempre accade nel grande teatro, si fa specchio del presente, rivelandone le contraddizioni e le ipocrisie. Le due giullarate portate in scena, Il primo miracolo di Gesù bambino e La Parapja Topola, si collocano in due tradizioni distinte della drammaturgia di Fo. La prima è parte del Mistero Buffo, la seconda, invece, appartiene alla tradizione del fabliau medievale, un fabulazzo dal sapore osceno e beffardo, che si nutre della comicità più triviale e spregiudicata, tipica delle rappresentazioni giullaresche. Nonostante la differenza di registro e contenuto, entrambe le opere condividono la medesima precisione scenica, in cui nulla è lasciato all’improvvisazione e ogni gesto, ogni inflessione della voce è calibrata con sapienza teatrale. Eppure, la struttura della messinscena resta permeabile alla reazione del pubblico: il ritmo si modella sugli umori della platea, i silenzi si caricano di attesa, le battute esplodono nel momento esatto in cui possono scatenare la risata collettiva. È in questo dialogo costante tra attore e spettatore che risiede la vera essenza del teatro di Dario Fo. E proprio quest’ultimo diventa elemento attivo della rappresentazione, chiamato a interagire, a ridere e a riflettere in un continuo scambio tra attore e spettatore che è la vera cifra del teatro popolare.
La scelta di una messa in scena essenziale, priva di scenografie imponenti e di artifici registici, si rivela vincente: il minimalismo esalta la parola e il gesto, restituendo alla narrazione tutta la sua potenza evocativa. Martelli si muove sul palco con un’energia che sembra inesauribile, alternando registri con una naturalezza sorprendente, dal comico al tragico, dalla farsa alla lirica. Il successo dello spettacolo, con oltre duecento repliche tra Italia ed estero, da Roma a Londra, da Bruxelles a Los Angeles, testimonia la sua straordinaria attualità e la sua capacità di parlare a pubblici diversi senza perdere la propria autenticità. Non è un caso che, a distanza di decenni dalla sua prima rappresentazione, “Mistero Buffo” continui a suscitare entusiasmi, a riempire teatri e a formare nuove generazioni di spettatori. Dario Fo, nella sua motivazione al Premio Nobel, venne celebrato per la capacità di “dileggiare il potere restituendo la dignità agli oppressi”. Oggi, con il lavoro di Matthias Martelli, la tradizione giullaresca non solo trova un degno erede, ma viene rilanciata con una forza rinnovata, capace di restituirle la sua urgenza contemporanea.
Il teatro, nelle sue mani, si riappropria della sua essenza più autentica: un luogo di libertà, di coscienza critica, di vibrante vitalità espressiva. La risposta del pubblico è stata inequivocabile: un crescendo di risate spontanee, applausi scroscianti e attimi di intensa riflessione hanno accompagnato l’intera rappresentazione, a testimonianza di un’adesione profonda e viscerale. Ma ciò che rende l’arte scenica di Matthias Martelli realmente travolgente è la sua fisicità debordante, la capacità di abitare il palcoscenico con una padronanza assoluta del gesto, della postura, del ritmo corporeo. Il suo è un teatro che si fa carne, muscoli e fiato, in cui il corpo non è solo strumento, ma veicolo pulsante di senso e di energia. Ogni movimento è scolpito nello spazio con un’urgenza espressiva che non conosce risparmio: la voce, il volto, le mani, le gambe si fanno linguaggio, amplificando la parola, traducendola in immagine, caricandola di vibrazione fisica. È un dono generoso, totale, senza mediazioni, che trasforma ogni sua esibizione in un atto teatrale di rara intensità. La sua presenza scenica si fa ponte tra passato e presente, tra tradizione e urgenza contemporanea, restituendo al teatro la sua funzione più autentica: non semplice rappresentazione, ma atto vivo, palpitante, capace di coinvolgere e trasformare chi vi assiste.