Fondazione Guido d’Arezzo: Il flauto di Roberto Fabbriciani omaggia Giorgio Vasari

Arezzo, Sala Sant’Ignazio
“Venere, che le Grazie la fioriscono” – Omaggio a Giorgio Vasari
Flauto Roberto Fabbriciani
Lettura di testi vasariani e note al concerto Luisella Botteon
Regia del suono (“centro di ricerca Tempo Reale”) Damiano Meacci
Musiche di: Claude Debussy, Roberto Fabbriciani, Wolfang Amadeus Mozart, Orazio Tigrini, Bruno Maderna, Ennio Morricone in una proposta sonora per flauto e strumenti elettronici.
Arezzo, 3 febbraio 2025
Attraversando la Sala Sant’Ignazio (ex chiesa di Sant’Ignazio), che in questo periodo ospita quattro pale dipinte da Giorgio Vasari, un gruppo abbastanza numeroso di persone sosta in fondo ed in piedi aspettando l’inizio di un concerto. Ad accogliere il pubblico, presentando l’evento, Lorenzo Cinatti, Direttore della Fondazione “Guido d’Arezzo”. Poi arriva lentamente Roberto Fabbriciani con il suo flauto traverso d’oro, suonando in modo piuttosto ispirato Syrinx di Claude Debussy, uno dei brani più celebri della letteratura del Novecento. L’atmosfera è sognante, quasi indeterminata, e il brano dal melos caratterizzato dai delicati contorni, sfuggevoli e cromatici, chiarisce la sua natura impressionista che, all’interno del contesto in cui era concepito il concerto (mostra internazionale Vasari. Il Teatro delle Virtù), evidenziava la particolare correspondance tra musica e arte visive, compreso il tema dell’amore. Lo stesso inizio con la composizione di Debussy offriva una narrazione che ruotava intorno al sentimento del dio Pan per la ninfa Sýrinx che poteva intendersi anche come ‘incanto’ del pubblico attraverso il suono del flautista. Il brano in programma di Orazio Tigrini, altro illustre aretino vissuto nel XVI secolo e dunque contemporaneo di Vasari, merita un’attenzione particolare. Il titolo Canzon da Sonare. Cantai un tempo allude ad una versione per flauto e pianoforte (1975) di un madrigale tratto dal I Libro di madrigali a 6 voci (1582) di Tigrini, realizzata da Claudio Santori. Ciò che si è percepito durante l’esecuzione è stato un singolare ‘incontro’ tra antico (madrigale cinquecentesco) e contemporaneo. La versione di Franz Anton Hoffmeister, coevo di Mozart, dell’aria di Papageno tratta dal Die Zauberflöte del compositore salisburghese, in sostanza è imperniata sul racconto secondo cui il principe Tamino, aiutato da Papageno, combatte per la liberazione dell’amata Pamina. Fabbriciani, con la sua interpretazione, è riuscito a coinvolgere tutti e traghettare in un mondo fiabesco tanto che in alcuni momenti sembrava di percepire le parole di Papageno in cui dichiara di essere abile nell’affascinare e nello zufolare. Elegia (1976) di Fabbriciani ha costituito un’interessante occasione per presentarsi in veste di compositore e interprete, offrendo un brano in cui erano presenti, come ispirazione, alcuni spunti autobiografici. A ciò ha fatto seguito un leitmotiv di Ennio Morricone, tratto dal film La gabbia, di cui Fabbriciani ha registrato la colonna sonora. Un Adagio del musicista aretino ha fatto quasi da prologo, per rimanere nell’autobiografismo, ad un Lamento (pianto ancestrale) del compositore novecentesco Bruno Maderna. Il programma si è concluso con altri due brani di Fabbriciani: un Sonetto a Orfeo su testo di Rainer Maria Rilke dedicato al mitico cantore e, ancora una volta sottolineando il rapporto sinergico delle arti, Venere, che le Grazie la fioriscono – Omaggio a Giorgio Vasari, composizione dedicata ad Arezzo ed in prima esecuzione, il cui titolo ha un riferimento alla Primavera di Botticelli e Vasari cita come «Venere che le Grazie la fioriscono, dinotando Primavera». Vivo successo del concerto per Fabbriciani, senza dimenticare l’importante contributo di Damiano Meacci per la regia del suono e di Luisella Botteon nel saper guidare l’ascoltatore in uno spettacolo particolare. La serata si è conclusa con un fuori programma in cui il tema Gabriel’s Oboe di Morricone, in quel particolare contesto, poteva rappresentare la naturale colonna sonora di un evento ove, per lasciarsi conquistare dal fascino, era necessaria un’immaginazione vivifica.