Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino, Stagione sinfonica 2024-25
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Pietari Inkinen
Dmitrij Šostakovič: Sinfonia n.7 in do maggiore, op.60 “Leningrado”.
Torino, 6 febbraio 2025.
Šostakovič è forse l’ultimo musicista che ha saputo collegarsi, ricambiato, col suo pubblico. Il regime d’oltre cortina, che pur indottrinava pesantemente le masse, nel contempo, le acculturava a fondo. La preparazione musicale, sia tecnica che storica, che si faceva in Russia, non temeva confronti. La pratica degli strumenti e la frequentazione di sale da concerto e di teatri erano massicce ed estese a un pubblico di ogni età e di ogni condizione culturale e sociale. Nel 1942, anno di creazione della sinfonia, si vivevano in Russia e a Leningrado in particolare, tempi procellosi e disperati e se pur le autorità richiedevano agli autori di diffondere ottimismo, la “gente” voleva nella musica riconoscersi, sperare, piangere e gioire. La grande città baltica, l’odierna San Pietroburgo, resisteva da qualche mese all’assedio nazista che le puntava i cannoni e ne bloccava il porto, i confini e i rifornimenti. Derrate alimentari scarsissime, freddo e impossibilità di riscaldamento, bare fatte scivolare, come slitte, in cerca di una tomba sul ghiaccio delle Prospettive e dei canali. Il pubblico continuava comunque a frequentare la grande sala delle colonne del Conservatorio per ascoltare quanto uno di loro, il musicista Dmitri Šostakovič, gli raccontava dei tempi e di sé stessi. A tratti il racconto era duro e pesante, a tratti grottesco e anche violento. Forse non dissimili dovevano essere state le condizioni in cui aveva, a suo tempo, operato Beethoven: una Vienna che si divideva tra le deluse promesse napoleoniche e la poliziesca e repressiva prigione a cui la costringeva il corrente Congresso di teste coronate. Ma la città danubiana dei primi dell’800 ci è lontana e, tranne per le letture, assolutamente sconosciuta ed estranea. La carneficina di Leningrado l’abbiamo invece, seppur non vissuta, vista, nella sua spaventosa realtà, in foto, film e documentari. Le sinfonie di Šostakovič non si possono quindi ancora edulcorare, come è ormai consueto con quelle beethoveniane, per le quali si accettano esecuzioni calligrafiche ed estetizzanti. È comunque stato quest’ultimo, purtroppo, il percorso imboccato da Pietari Inkinen con la Leningrado che si è ascoltata nell’Auditorium RAI. I magnifici timbri dell’Orchestra Sinfonica Nazionale ne sono sortiti esaltati e brillanti, al massimo grado, come non mai. S’è mostrata prepotentemente la perizia di Šostakovič come gran orchestratore, degno allievo di Glazunov. Ma da questa prospettiva super accurata e senza scogli, stentano ad emergere e a farsi percepire le angosce, le paure e la fame che attanagliavano, in quei tempi terribili, pubblico e musicisti. Si è ripetuto molte volte, anche autorevolmente, che la progressione incalzante delle 12 variazioni dell’ “Allegretto”, non vuole significare la spaventosa immagine dell’avanzata delle truppe dalla croce uncinata in terra russa. Si tratta comunque di una musica che, in nessun caso, come purtroppo ha fatto Inkinen, può venire derubricata in una
brillantissima parodia del bolero di Ravel. La mancanza di un’adeguata spinta emotiva, la troppa cautela che esclude scivoloni grotteschi, l’assenza di impertinenze foniche e di impacci ritmici costringono i due movimenti centrali ad un’eccessiva e sonnacchiosa pacatezza a cui la sola eccellenza dei solisti dell’orchestra riesce a conferire una residua spinta propulsiva. Il convenzionale Allegro non troppo, con cui l’autore chiude, con forzato e sfacciato ottimismo, la sinfonia, riceve, ed era inevitabile, viste le premesse, un’esaltazione fonica straordinaria. Non c’è assolutamente traccia del turbamento e del terrore che Šostakovič aveva a lungo provato per il KGB alla sua porta e per Ždanov sulla Pravda. Quindi si è trattato di un’esecuzione complessivamente distopica ad opera di una stellare Orchestra Sinfonica Nazionale RAI sotto la guida, seppur brillante, di un direttore apparentemente inconsapevole delle lacrime e del sangue di cui la musica sul suo leggio grondava. Non solo l’estetica, che da Šostakovič è sempre meticolosamente coltivata, ma anche l’etica e la storia debbono far parte integrante ed essenziale di quanto viene proposto all’ascolto. Pubblico scarso che, con gli applausi, ha dichiarato di aver apprezzato quanto gli era stato servito.
La Sinfonia “Leningrado” di Šostakovič per Pietari Inkinen e l’Orchestra RAI
