Milano, MTM – Teatro Leonardo, Stagione 2024/25
“ROMEO E GIULIETTA”
di William Shakespeare traduzione Carmen Gallo
Romeo MARCOS PIACENTINI
Giulietta FRANCESCA MASSARI
Frate Lorenzo PIETRO DE PASCALIS
Mercuzio LORENZO FALCHI
Benvolio SIMONE DI SCIOSCIO
Tibaldo FRANCESCO GIORDANO
Balia DEBORA VIRELLO
Capuleti GAETANO CALLEGARO
Donna Capuleti FILIPPO RENDA
Paride FRANCESCO MARTUCCI
Principe Escalo SIMONE SEVERGNINI
Regia Antonio Syxty
Comportamenti e Azioni di Scena Susanna Baccari
Scene Chiara Salvucci
Costumi Giulia Giovanelli
Luci Fulvio Melli
Nuova produzione MTM – Manifatture Teatrali Milanesi
Milano, 23 febbraio 2025
Se si decide di mettere in scena “Romeo e Giulietta“ si deve in primo luogo affrontare la questione dell’iconicità della storia – che ci consente persino di omettere il nome dell’autore di un testo così conosciuto ad ogni livello. Spieghiamo meglio: il pubblico arriva in sala con delle aspettative molto precise su un testo come questo, e tradirle può essere il moto giustamente innovatore, come il peggiore dei passi falsi di un regista. Prendiamo atto che per Antonio Syxty sia esattamente la seconda di queste ipotesi: il “Romeo e Giulietta“ attualmente in scena al Teatro Leonardo di Milano contiene così tanti errori che è persino difficile dare spazio a tutti, sebbene proveremo ora a metterli perlomeno in ordine. Il primo riguarda la scelta del cast: ormai è consuetudine usare attori giovanissimi per mettere in scena questa vicenda, tuttavia questi attori devono avere una formazione e una consapevolezza del loro mestiere, alternativamente la regia deve essere in grado di formarli attivamente, proprio tramite il confronto col testo; è evidente che nessuna di queste cose abbia riguardato i protagonisti più giovani, che perlopiù sembrano usciti da un corso di lettura espressiva (il Romeo di Marcos Piacentini, il Benvolio di Simone di Scioscio), a volte con accenti sbagliati e vocalità di difficile piacevolezza (il Tebaldo di Francesco Giordano); altri, senza dubbio più apprezzabili, mostrano maggiore presenza scenica e vocale, ma impaccio sul piano dell’espressività, forse proprio per la giovane età (il Mercuzio di Lorenzo Falchi); unica interprete che riesca a raggiungere una prova omogenea e a tratti lodevole, per quanto ancora acerba sull’uso della voce e delle cadenze, è Francesca Massari, una Giulietta senz’altro sul piano fisico molto presente a se stessa, per quanto relegata dalla regia a una gamma espressiva decisamente preconfezionata.
Non crediamo, tuttavia, che il lato più adulto del cast si distingua, invece, per interpretazioni magistrali: l’unico salvabile è Pietro de Pascalis nel ruolo di frate Lorenzo, che la regia qui trasforma in una specie di santona voodoo transgender: De Pascalis non si arrende alla scelta, del tutto peregrina e in generale portata avanti penosamente, di far recitare gli adulti in maniera antinaturalistica, e dunque costruisce un personaggio credibile, accurato, costruito non su grandi slanci, quanto su un bel repertorio di mezze tinte, impressioni, intenzioni silenziose e mai abbozzate. Gli altri, come anticipato, vengono coinvolti in un francamente inutile esercizio di stile, lo svuotamento dell’interpretazione di qualsivoglia appiglio logico, per rivestire la parola di un sapore vagamente straniato e novecentesco; e allora ecco Debora Virello impegnata in una balia che canticchia tutta la sua parte, aggirandosi come una mentecatta per il palco, Francesco Martucci (Paride)
costretto in uno stato di costante libido, Gaetano Callegaro, un Capuleti che all’ascolto sembra il nano della loggia nera di David Lynch; a Filippo Renda, nel ruolo di donna Capuleti, invece, il gioco non riesce, infatti ci regala una bella interpretazione, sprezzante e sostenuta – nel suo caso lo straniamento giace nell’inversione sessuale e nel paradossale copricapo a punta. Infine, a suggellare un cast veramente male assortito, Simone Severgnini ci presenta un principe che interviene dal pubblico con un microfono, che forse vorrebbe sembrare (lo intuiamo dal costume) un arbitro di boxe d’altri tempi, ma la cui vocalità chiara, dall’eccessivamente dimessa espressività, mina la sua stessa credibilità. Come se questo già non bastasse, la regia, probabilmente volendo differenziare adulti e giovani sul piano dell’azione, non lascia che i giovani attori si fermino nemmeno un secondo, ottenendo un effetto “macachi allo zoo“ alla lunga insopportabile – è tutto un salire scendere correre sedersi rialzarsi cambiare posizione, come in un laboratorio di liceo, la cui responsabile è Susanna Baccari; altro lavoro mancato sul cast giovane è quello della dizione, che non significa solo dire “e” aperte o chiuse correttamente, ma anche lavorare per correggere cadenze ipocoristiche (e perlomeno Piacentini e Giordano ne avrebbero molto bisogno). Infine, una serie di piccole o grandi incongruenze, che non facilitano la fruizione del
pubblico: perché ad accompagnare Romeo di nascosto a Verona c’è uno vestito come un Capuleti dell’inizio? E perché, se tutti combattono in maniera simbolica, senza mai nemmeno toccarsi, a un certo punto compare un pugnale vero e proprio? La coerenza interna sembra latitare. Infine, anche sull’apparato tecnico non possiamo fare troppo affidamento: se la scena di Chiara Salvucci è senza dubbio interessante, composta di casse, quadri ribaltati, un alternarsi di vuoti e pieni, alti e bassi, che contribuisce a dare dinamismo all’azione, le luci di Fulvio Melli, invece, sovente sono in ritardo sull’interprete, quando non lo lasciano direttamente in penombra, con effetti senza dubbio fascinosi, ma poco pratici; ma ammesso che fossero anche le migliori del mondo, certo non può bastare il contorno a salvare una produzione evidentemente fraintesa alla radice. Peccato, soprattutto per le molte scolaresche presenti in sala, e che probabilmente penseranno che fare l’attore voglia dire fare quello che si vuole col testo, anche quando fa innamorare generazioni da più di quattrocento anni. Foto Laila Pozzo e Martina Corciulo