Milano, Teatro alla Scala, Stagione d’opera e balletto 2024-25
“DIE WALKÜRE” (Der ring des Nibelungen)
Prima giornata in tre atti su libretto di Richard Wagner
Musica di Richard Wagner
Siegmung KLAUS FLORIAN VOGT
Hunding GÜNTHER GROISSBÖCK
Wotan MICHAEL VOLLE
Sieglinde ELZA VAN DEN HEEVER
Brünnhilde CAMILLA NYLUND
Fricka OKKA VON DER DAMERAU
Gerhilde CAROLINE WENBORNE
Ortilnda OLGA BEZSMERTNA
Waltraute STEPHANIE HOUTZEEL
Schwerrtleite FREYA APFFELSTAEDT
Helmvige KATHLEEN O’MARA
Siegrune VIRGINIE VERREZ
Grimgerde EGLÉ WYSS
Rossweisse EVA VOGEL
Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Direttore Alexander Soddy
Regia David McVicar
Scene David McVicar e Hannah Postlethwaite
Costumi Emma Kingsbury
Luci David Finn
Coreografia Gareth Mole
Milano, 23 febbraio 2025.
La discesa dal cielo alla terra segna l’inizio delle vicende umane nella Tetralogia wagneriana. Va in scena alla Scala “Die Walküre” sempre nel segno della staffetta sul podio tra Simone Young e Alexander Soddy già avuta nel prologo. Per coerenza abbiamo proseguito con quest’ultimo volendo mantenere l’unità direttoriale per tutto il ciclo. Unitaria è invece la parte visiva affidata a David McVicar e ai suoi collaboratori. Rispetto al prologo sono apparsi una forte continuità nell’impianto complessivo, caratterizzato da un’iconografia fantasy che rileggere con taglio contemporaneo la mitologia wagneriana ma anche numerose differenze. Se il prologo era dominato da un gusto metateatrale non privo di echi barocchi qui prorompe la vita con tutta la sua carica di violenza. All’apertura del sipario siamo trasportati in un mondo ancestrale e quasi preistorico in cui vive un’umanità concentrata sui bisogni fondamentali: riparo, cibo, continuità della stirpe, solidarietà del gruppo tribale nei confronti dell’esterno, del diverso. Questo è il mondo su cui Hunding regna in virtù della sua forza e della sua violenza e proprio questa protervia è la cifra che caratterizza il personaggio con grande efficacia. Compare qui un lavoro di recitazione molto più curato e intenso rispetto alla
precedente opera che diviene ora il segno di un mondo vivo e pulsante. Profonda è la conoscenza da parte di McVicar della cultura norrena con rimandi diretti ai testi eddici. La realizzazione non è però sempre all’altezza dell’idea. L’uso di mini e figuranti per rappresentare gli animali simbolici pecca forse d’ingenuità ma è il riflesso di un lavoro sulla fisicità del teatro che limita il ricorso agli effetti speciali e vede il corpo unico protagonista. Le atmosfere scure e nebbiose si ritrovano sia nelle scene di Hanna Postlethwaite di cui abbiamo apprezzato sia l’essenzialità antropologica del primo atto sia la poesia del III con la rupe delle Valchirie che diventa il volto materno di Erda che alla fine si apre per accogliere e proteggere Brünnhilde. Molto belli e curati i costumi di Emma Kingsbury che fondono protostoria nordica e suggestioni da fantascienza steampunk. Perfettamente riuscite le luci di David Finn capaci di creare la giusta atmosfera, ad esempio la luminosità fredda e severa che
accompagna l’incedere ieratico di Brünnhilde durante l’annuncio di morte, vera epifania divina. La direzione di Soddy si mostra una grande eleganza. Il direttore opta per tempi ampi, distesi, concedendo grande spazio alla cantabilità orchestrale. I colori orchestrali sono tersi, avvolgenti così che a esaltarsi sono le parti più liriche colme di un calore veramente primaverile così come assai ben riusciti sono i ripiegamenti di Wotan, resi tocchi di sofferenza autenticamente umana. I momenti più drammatici non mancano d’imponenza ma senza mai tradire quell’eleganza di fondo che è la sua cifra più caratterizzante come nella celeberrima Cavalcata resa con linee frementi ma terse e rigorose, senza platealità. Si apprezza il nitore con cui sono resi i singoli leitmotiv e in generale le linee musicali. Il cast complessivamente valido, mostra però qualche limite. Giganteggia il Wotan di Michael Volle veramente di grandissimo valore artistico. I lunghi anni di carriera non hanno minato scalfito la tempra vocale mentre è cresciuta esponenzialmente la statura dell’artista. Il suo è un Wotan,
profondamente umano nella sua sofferenza e nel suo senso d’impotenza davanti a un destino cui è incatenato dal suo stesso potere. Ecco quindi accenti cupi, rabbiosi di una frustrazione repressa, un Dio che la sofferenza rende crudele e il bisogno spietato ma che ritrova accenti di straziante commozione nell’ultimo addio alla figlia diletta. La voce è sempre splendida, ancora solidissima e arriva al termine del grande finale senza cedimenti. Sorprende positivamente Klaus Florian Vogt. Il materiale vocale è quasi antitetico rispetto a quello di un heldentenorer brunito che si aspetterebbe per Siegmund ma è un musicista intelligente e sensibile, capace di sfruttare le proprie qualità. Non cerca invano turgori epicheggianti, gioca in difesa sugli acuti ma sfuma, accenta, di Siegmund evidenzia i caratteri lirici, ne fa un
cavaliere della primavera. Lettura sicuramente insolita ma portata avanti con grandissimo rigore e perfettamente in linea con la direzione di Soddy. Günther Groissböck (Hunding) convolto in un incidente stradale che ha costretto un rinvio di un’ora di inizio spettacolo forse non era in giornata ideale. Ottimo attore ma il canto con un canto tendenzialmente forzato. Ci è parsa purtroppo debole Camilla Nylund che non ha il corpo vocale necessario per Brünnhilde. Il problema non è qualche forzatura – quasi inevitabile – nel grido di guerra ma la mancanza di autorevolezza già dall’annuncio di morte a Sigmund che il fraseggio curato e le intenzioni espressive non possono compensare. Il registro acuto tende a sfuggire al
controllo sfociando spesso nel grido. Vocalmente più solida la Sieglinde di Elza van den Heever. Voce ricca, imponente, molto sonora e gran temperamento. Quasi costretta nel lirismo del I atto prende corpo poco a poco accendendosi con il crescere del dramma e risultando più solida e potente di quella di Brünnhilde, facendo quasi desiderare un’inversione dei ruoli. Okka von der Damerau è una Fricka ottimamente cantata, dalla voce morbida e dal canto sfumato e attento così che la scena con Wotan ha avuto quella ricchezza di intenti che spesso si tende a trascurare. Valido l’ensemble delle Valchirie nel terzo atto. Foto Brescia e Amisano © Teatro alla Scala