Modena, Teatro Comunale Pavarotti-Freni, Stagione Opera 2024-2025
“I DUE FOSCARI”
Tragedia lirica in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave ispirato all’omonima opera teatrale in versi di Lord Byron
Musica di Giuseppe Verdi
Francesco Foscari LUCA SALSI
Jacopo Foscari LUCIANO GANCI
Lucrezia Contarini MARILY SANTORO
Jacopo Loredano ANTONIO DI MATTEO
Barbarigo MARCELLO NARDIS
Pisana ILARIA ALIDA QUILICO
Fante MANUEL PIERATTELLI
Servo del Doge EUGENIO MARIA DEGIACOMI
Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore Matteo Beltrami
Maestro del Coro Corrado Casati
Regia Joseph Franconi Lee
Scene e costumi William Orlandi
Luci Valerio Alfieri
Coreografie Raffaella Renzi
Coproduzione Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena
Allestimento ABAO di Bilbao e Teatro Verdi di Trieste, proprietà Fondazione Teatri di Piacenza e Fondazione Teatro Comunale di Modena
Modena, 23 febbraio 2025
Con I due Foscari, coetanei del veneziano Ernani, continua l’abbeverata verdiana al romanticismo d’Oltralpe: dopo Hugo, Byron. Venezianissimi, i Foscari, ma impossibili a rappresentarsi nella Venezia in cui ancora vivono gli stessi cognomi del Quattrocento: sicché finiscono sulla piazza romana, che Verdi approccia per la prima volta, dunque, con un soggetto marcatamente politico. Solo che qui i buoni sono l’uomo solo al potere e i suoi congiunti, e i cattivi sono i rappresentanti delle istituzioni repubblicane che quel potere limitano e controllano. Insomma è difficile, per noi, al giorno d’oggi, condividere un simile punto di vista: o forse no? Ecco il sadico giustizialismo del Consiglio dei Dieci: “Al mondo sia noto, che qui contro i rei, / presenti o lontani, patrizi o plebei, / veglianti son leggi d’eguale poter”. Insomma, niente di più del nostro “La legge è uguale per tutti”. Quindi, se è vero che nell’opera niente (o quasi niente) succede fino alla fine, l’unica azione scenica essendo l’accasciarsi del doge ucciso dal dolore, è vero però che di spunti per un regista il soggetto ne offre. Non a Joseph Franconi Lee, che riprende qui un vecchio spettacolo, scene e costumi di William Orlandi, vittima del proprio tempo. L’ingresso del prigioniero, i polsi cinti da largo catenone, lascia solo presagire l’improbabile lettino di torture che l’attende; e mentre le guardie marciano smarrite recando lunghe alabarde, le dame si dispongono in manierate pose. Convenzionale fino alla noia, insomma, sembra la caricatura di quello che chi
non va mai all’opera si immagina debba essere il tipico spettacolo d’opera. C’è un solo motivo per riprenderlo l’ennesima volta: Luca Salsi. Dimenticate il principesco contegno di Bruson e il retorico eroismo di Nucci, perché il Doge di Salsi è umano, troppo umano. Autentico, semplice, schietto. Il fraseggio dispiega la consueta espressività sfaccettatissima, curatissima, accortissima, ch’è sempre la sua cifra particolare e vincente: e che, unitamente all’emissione slanciata e sicura, alla solidità e, almeno in certi lampi, alla timbratura pungente, ricorda parecchio Tito Gobbi. Il povero Luciano Ganci, colpito da un
rovinoso incidente vocale durante la cabaletta della sua scena di sortita, ha concluso nondimeno la recita, cantando con fraseggio vario ed elegante, ottime intenzioni espressive, e il bel timbro luminoso e squillante che gli conosciamo —e che risplende con particolare felicità nell’acustica asciutta e limpida del Comunale di Modena. Gli incidenti purtroppo capitano; le voci più sono belle più sono delicate; e il pomeriggio, per una voce, non è come la sera. Completa il terzetto dei protagonisti Marily Santoro: voce fresca, dolcissima, ben timbrata, impavida e scaltra nell’impervia, a dir poco, scrittura. Molto bene anche il perfido e tonante Jacopo Loredano di Antonio Di Matteo, come pure le restanti parti di fianco. Piglio saldo ed energico, marciante e balzante anzichenò quello di Matteo
Beltrami, che con sagacia e buon senso, con nettezza e fulgore, raccoglie assieme la sequela di numeri chiusi e, ad onta dei due intervalli, riesce a farne un dramma. Brilla con un’ottima prova l’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini e si conferma volitivo e sanguigno, autentiche qualità verdiane, il Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati. La sala ha dimostrato una giusta, intelligente ed affettuosa comprensione verso Ganci, e ha riservato un glorioso trionfo a Salsi; trionfo certificato e suggellato dalla presenza di un contestatore solitario, a difendere la vitalità e l’autonomia di giudizio del nostro, preziosissimo, pubblico emiliano. Foto ©Gianni Cravedi
Modena, Teatro Comunale Pavarotti-Freni: “I due Foscari”
