Pompei, Parco Archeologico: “Nuove scoperte: la megalografia di un corteo dionisiaco presso La Casa del Tiaso”

Pompei, Parco Archeologico
NUOVE SCOPERTE: LA MEGALOGRAFIA DELLA CASA DEL TIASO
Pompei, 26 febbraio 2025
Nel panorama degli studi sulla religiosità misterica dell’antichità, la recente scoperta di una megalografia a Pompei, emersa dagli scavi condotti nell’Insula 10 della Regio IX, rappresenta un contributo di primaria importanza per la comprensione del culto dionisiaco nel mondo romano.Felici coloro che, dopo aver visto questi riti, prendono la strada dell’Ade: solo per loro c’è vita, per gli altri tutto è sofferenza“, scriveva Pindaro nel V secolo a.C., evocando la potenza iniziatica di culti riservati a una cerchia ristretta di adepti. In parallelo, Euripide nelle “Baccanti” descrive il furor dionisiaco come un’esperienza mistica e sovversiva, capace di travalicare i confini del razionale e proiettare l’iniziato verso una dimensione di estasi e rivelazione. La rappresentazione di tali dinamiche nei contesti pittorici pompeiani non è nuova, ma il rinvenimento di un nuovo ciclo decorativo in un contesto domestico suggerisce ulteriori approfondimenti sulla diffusione e sulla funzione sociale di tali immagini. La decorazione pittorica, distribuita lungo le pareti di un ampio triclinio, si configura come un eccezionale esempio di megalografia, in cui il tiaso dionisiaco è reso con un dinamismo plastico che esalta la gestualità frenetica delle baccanti e la vitalità sovrumana dei satiri. Il tema del sacrificio cruento, evidente nella rappresentazione di baccanti cacciatrici che reggono animali sgozzati, trova riscontro nelle pratiche rituali del culto dionisiaco, in cui la smembramento simbolico della vittima sacrificale era concepito come atto di partecipazione alla natura divina del dio. L’intensità scenica è accentuata dall’uso di espedienti illusionistici tipici del II Stile pompeiano, in cui le figure si stagliano su piedistalli dipinti, quasi fossero sculture che prendono vita. Il pittore, mediante una sapiente resa delle ombre e dei panneggi, gioca con l’ambiguità tra realtà e finzione, trasportando lo spettatore in un mondo sospeso tra il mito e la rappresentazione teatrale del sacro. Un ulteriore elemento di interesse è costituito dal fregio superiore, in cui si susseguono immagini di animali vivi e morti, tra cui cervi, cinghiali, uccelli e pesci. Questa sezione decorativa sembra richiamare la dimensione venatoria del culto, già attestata in contesti letterari e iconografici, e ribadisce il legame tra la sfera della natura selvaggia e il dionisismo. Il sacrificio, atto di comunione con la divinità, si intreccia così con il tema della caccia, in una narrazione per immagini che riflette la polisemia del mito dionisiaco. L’analisi archeologica del contesto stratigrafico ha permesso di datare il ciclo pittorico agli anni 40-30 a.C., epoca in cui il II Stile pompeiano raggiungeva il suo apice. Questo dato cronologico apre interessanti prospettive sulla funzione del triclinio affrescato: sebbene le immagini del tiaso dionisiaco siano spesso associate agli spazi di convivialità aristocratica, il loro impiego in un ambiente domestico pompeiano suggerisce che tali tematiche non fossero esclusivamente prerogativa delle elite senatoriali e sacerdotali, ma potessero costituire un riferimento identitario più ampio, legato a modelli culturali diffusi nell’Italia romana. Pompei, nelle sue ultime fasi di vita, appare dunque come un crogiolo di influenze religiose e artistiche, in cui il patrimonio iconografico ellenistico si innesta in un tessuto urbano in continua trasformazione. Edward Bulwer-Lytton, nel suo celebre romanzo “Gli ultimi giorni di Pompei”, descrive con toni vividi la città come un luogo di contrasti e mescolanze, in cui il sacro e il profano si intrecciano in una dimensione in cui l’imminenza della catastrofe sembra sospendere il tempo stesso. La recente scoperta della megalografia dionisiaca offre una nuova chiave di lettura per comprendere il ruolo delle immagini sacre in un contesto di vita quotidiana, suggerendo che, ben oltre la loro funzione ornamentale, esse fossero strumenti di costruzione dell’identità culturale e di mediazione tra l’umano e il divino. L’indagine archeologica non si ferma qui: gli scavi nella Regio IX stanno portando alla luce nuove evidenze che contribuiranno a ridefinire il quadro della pittura pompeiana di età tardorepubblicana. La domus che ospita il fregio dionisiaco rivela una complessità architettonica degna di ulteriori approfondimenti, con la presenza di ambienti termali, un sacrario decorato con allegorie delle stagioni e un salone con scene troiane, a conferma del ruolo di questi spazi come luoghi di rappresentazione sociale e di autorappresentazione dei committenti. Il Parco Archeologico di Pompei, consapevole dell’importanza di questo rinvenimento, ha predisposto un programma di valorizzazione che prevede l’apertura al pubblico delle aree in corso di scavo, offrendo ai visitatori l’opportunità di osservare da vicino il processo di riscoperta e interpretazione del passato. Ancora una volta, Pompei dimostra la sua capacità di restituire frammenti di un mondo perduto, in cui l’arte, la religione e la vita quotidiana si intrecciano in un dialogo continuo tra memoria e riscoperta.