Roma, Teatro Parioli Costanzo: “Il Vedovo”

Roma, Teatro Parioli Costanzo
IL VEDOVO
con Massimo Ghini, Paola Tiziana Cruciani
regia di Ennio Coltorti
dal film di Dino Risi
adattamento di Ennio Coltorti e Gianni Clementi
e con Giuseppe Gandini, Leonardo Ghini, Irene Girotti, Diego Sebastian Misasi, Tony Rucco, Tomaso Thellung
Scene Andrea Bianchi
Costumi Annalisa Di Piero
Musiche Davide Cavuti
Roma, 26 febbraio 2025
“Io ti ammazzo, Elvira. Io ti ammazzo!” – Alberto Nardi, Il vedovo (1959)
Siamo nel cuore del boom economico, un’Italia febbrile e palpitante che si protende verso il futuro con la foga di chi ha lasciato alle spalle le macerie della guerra e anela al riscatto attraverso la modernità. È l’epoca in cui l’ambizione si confonde con l’illusione, in cui il confine tra ascesa e rovina si assottiglia pericolosamente. Figure come il commendator Alberto Nardi incarnano questa tensione: convinto di essere un genio imprenditoriale, si muove goffamente in un panorama economico spietato, rivelandosi più un clown tragico che un visionario. Alberto, giovane industriale romano, possiede una prestanza fisica che non trova riscontro in un’intelligenza altrettanto vigorosa. La sua spregiudicatezza è un’illusione, la sua audacia negli affari una fragile impalcatura destinata a crollare al primo soffio di realtà. Accanto a lui, la moglie Elvira Almiraghi è l’esatto opposto: affermata donna d’affari milanese, spietata e lungimirante, domina con sicurezza il panorama finanziario dominato dagli uomini. Il loro matrimonio è una partita a scacchi, un legame di potere che per Elvira è un ulteriore strumento di controllo e per Alberto una prigione dorata da cui sogna di fuggire. Solo quando il destino gli offre l’illusione di un riscatto – per quanto infame – Alberto sente di poter finalmente cambiare la sua sorte. Trasporre un classico della commedia all’italiana come “Il vedovo” di Dino Risi sulla scena teatrale era un’impresa gravida di insidie. Ennio Coltorti e Gianni Clementi, curatori dell’adattamento, hanno scelto un approccio di rigorosa fedeltà al testo originale, evitando il rischio di una reinterpretazione arbitraria, ma forse rinunciando all’opportunità di una rilettura più audace. Tuttavia, è proprio questa fedeltà a costituire il fascino dell’allestimento, che si colloca con rispettoso equilibrio tra omaggio e rivisitazione. Massimo Ghini, nei panni di Alberto Nardi, evita saggiamente l’imitazione di Alberto Sordi, consapevole dell’inaccessibilità di un modello tanto iconico. La sua interpretazione oscilla tra il grottesco e il caricaturale, accentuando la farsesca inettitudine del personaggio. Paola Tiziana Cruciani, invece, imprime a Elvira una connotazione più spiccatamente popolare rispetto alla raffinata, algida crudeltà di Franca Valeri. Se questa scelta rende il personaggio più accessibile al pubblico, lo priva tuttavia di quella sottigliezza che lo rendeva tanto letale nel film originale. Ne deriva una dinamica che appare più sbilanciata, meno calibrata rispetto all’equilibrio perfetto tra cinismo e ironia che aveva reso la pellicola un capolavoro. La regia di Coltorti ricostruisce con meticolosità l’atmosfera degli anni ’50, senza tentare di attualizzarla. Una scelta che, se da un lato preserva il fascino di un’epoca, dall’altro rischia di risultare statica per uno spettatore contemporaneo. L’Italia raccontata in “Il vedovo” è un Paese che non esiste più, un mondo in cui il capitalismo rampante era ancora terreno fertile per illusioni grandiose e disfatte clamorose. Se il remake cinematografico del 2013 con Fabio De Luigi e Luciana Littizzetto ha tentato di trasporre la vicenda nell’oggi – con risultati poco convincenti – qui si è preferito non rischiare, restituendo piuttosto un affresco fedele, ma inevitabilmente ancorato a un passato che potrebbe non risuonare più con la stessa urgenza. La messinscena si avvale di un cast di supporto solido e affiatato: Giuseppe Gandini, Leonardo Ghini, Irene Girotti, Diego Sebastian Misasi, Tony Rucco e Tomaso Thellung delineano con precisione i comprimari, contribuendo a mantenere vivace il ritmo della pièce. La scenografia di Andrea Bianchi, accurata nella sua ricostruzione degli ambienti borghesi dell’epoca, dialoga efficacemente con i costumi di Annalisa Di Piero, che aggiungono un ulteriore elemento di verosimiglianza. Le musiche di Davide Cavuti accompagnano con discrezione lo sviluppo della vicenda, senza mai imporsi sulla narrazione. Se c’è un aspetto in cui questo adattamento riesce con piena efficacia, è nel mantenere intatta la spietata ironia della storia originale. Dietro la superficie di una commedia, si cela un ritratto implacabile di un’Italia in cui il denaro e il potere regolano ogni relazione umana. Il fallimento di Alberto non è solo quello di un uomo, ma di un’intera classe sociale, illusa di poter scalare il successo senza le capacità necessarie per sostenerlo. L’elemento più moderno e universale di questa vicenda sta proprio nella sua dinamica di potere: il gioco eterno tra chi domina e chi soccombe, tra chi si muove nel mondo con disinvoltura e chi ne è irrimediabilmente vittima. Forse l’unico limite dello spettacolo è la sua eccessiva prudenza. La commedia di Risi, nella sua epoca, fu uno sguardo spregiudicato su un Paese in piena trasformazione, un monito che celava dietro la risata una critica sociale affilata. Questo adattamento, pur mantenendo viva l’anima dell’originale, si arresta un passo prima di osare una lettura più audace. Una rilettura che avrebbe potuto attualizzare il testo, interrogandosi su cosa significhino oggi il fallimento, il potere, la sopraffazione economica. Tuttavia, nell’insieme, “Il vedovo” convince. Ghini e Cruciani riescono a mantenere viva la tensione scenica, alternando momenti di comicità irresistibile a scarti improvvisi di amara riflessione. L’applauso caloroso del pubblico sancisce il successo di uno spettacolo che, pur con qualche riserva, conferma il fascino inesauribile di una storia che ha ancora molto da raccontare. E, in fin dei conti, che sia cinema o teatro, innovazione o fedeltà, ciò che davvero conta è che il sipario si alzi sempre su un racconto capace di suscitare emozione.