Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
La Pirandelliana
presenta
GENTE DI FACILI COSTUMI
di Nino Marino e Nino Manfredi
scene Luigi Ferrigno
costumi Giuseppina Maurizi
musiche Paolo Vivaldi
disegno Luci Antonio Molinaro
regia LUCA MANFREDI
Con Flavio Insinna, Giulia Fiume
Roma, 18 febbraio 2025
Ci sono testi teatrali che, con il passare degli anni, non perdono smalto, anzi, si fanno ancora più rivelatori della società che li ha prodotti e di quella che li accoglie nel presente. “Gente di facili costumi”, scritto nel 1988 da Nino Manfredi e Nino Marino, è uno di questi. Se a prima vista potrebbe sembrare una commedia brillante, in realtà cela una struttura drammaturgica che fa da specchio alle dissonanze sociali e alle disillusioni umane. L’illusione della dignità, il peso delle aspettative frustrate, la solitudine mascherata dalla quotidianità: tutto questo torna, con nuova freschezza, in una messa in scena al Teatro Quirino di Roma, affidata alla regia di Luca Manfredi. Lo spettacolo si conferma una grande prova di teatro, capace di toccare corde profonde pur mantenendo intatto il gusto per il paradosso e la comicità. Il cuore della pièce risiede nella relazione tra i due protagonisti, Ugo e Anna, figure antitetiche eppure destinate a confrontarsi e a trasformarsi l’un l’altro. Lui è un intellettuale squattrinato e cinico, prigioniero di un mondo di idee e ambizioni artistiche che non riesce a concretizzare. Lei è una prostituta, ma con sogni ben chiari: non diventare ricca, non sfuggire alla sua realtà, bensì conquistare un piccolo spazio di felicità nel mondo semplice delle giostre di un luna park. Due destini distanti, apparentemente inconciliabili, ma che si ritrovano a condividere un ambiente ristretto, dove l’imprevisto e la necessità finiscono per abbattere le barriere di classe e di mentalità. Ugo si vede costretto a vivere nell’appartamento di Anna, in seguito a uno sfratto e a un tragicomico incidente domestico: un pretesto narrativo che diventa il vero motore dell’azione scenica, una convivenza forzata che dà vita a un meccanismo teatrale perfetto.
Flavio Insinna raccoglie una sfida non indifferente: vestire i panni che furono di Nino Manfredi. E lo fa con un’intelligenza attoriale che gli permette di non cadere mai nella trappola dell’imitazione, bensì di rielaborare il personaggio di Ugo con una sensibilità che lo rende attuale senza snaturarlo. Il suo Ugo è un uomo nevrotico e colto, attraversato da un’ironia che maschera il fallimento. La sua comicità non è mai superficiale, ma sempre filtrata attraverso una vena malinconica che lo rende umano, vicino, riconoscibile. Accanto a lui, Giulia Fiume offre una prova straordinaria nei panni di Anna.
Il personaggio, nella sua caratterizzazione originaria, rischia di essere stereotipato: la prostituta dal cuore d’oro, figura che la tradizione teatrale e cinematografica ha sfruttato fino all’usura. Ma la brava attrice riesce a sfuggire a questo pericolo grazie a un’interpretazione sfaccettata, che restituisce ad Anna una vivacità che non è solo apparente, ma esprime la consapevolezza di una donna che conosce il proprio mondo e sa navigarlo con arguzia e istinto. La sua fisicità è dirompente, il suo accento siciliano dona ulteriore verità alla performance, la sua risata è esuberante, ma anche un modo per tenere a bada le ferite della vita. Luca Manfredi affronta il testo con rispetto e misura. Non tenta di modernizzarlo forzatamente, ma ne conserva l’essenza, mantenendo la sceneggiatura nella sua epoca originale. Niente euro, niente cellulari, nessun aggiornamento che possa alterare la natura delle dinamiche tra i personaggi.
Ed è una scelta vincente. La società è cambiata, certo, ma il cinismo del mondo dello spettacolo, l’ipocrisia delle relazioni sociali, la ricerca di un sogno anche nel fango delle difficoltà restano attuali, senza bisogno di essere piegati a una contemporaneità superficiale. La scenografia di Luigi Ferrigno è funzionale e racconta tanto senza eccessi: l’appartamento di Anna è un concentrato di caos, di colori pop, di oggetti ammassati che riflettono il suo carattere. Il tocco della scritta luminosa della Lavazza all’esterno è un piccolo capolavoro di evocazione visiva. Il disegno luci di Antonio Molinaro crea un’atmosfera quasi cinematografica, mentre le musiche di Paolo Vivaldi scandiscono i momenti chiave della narrazione. Il leitmotiv sonoro dello spettacolo è affidato a “Rumore” di Raffaella Carrà, brano che diventa quasi un terzo protagonista della storia, sottolineando la personalità vulcanica di Anna e il suo mondo fatto di eccessi e libertà.
Ma la forza di “Gente di facili costumi” sta, prima di tutto, nei dialoghi. È una commedia fondata sulla parola, sulla capacità di costruire un ritmo in cui ogni battuta è un tassello di un mosaico più grande. Le battute di Ugo, intrise di citazioni alte e cultura accademica, si scontrano con la schiettezza di Anna, che smonta la pretenziosità con una semplicità spiazzante. È un continuo gioco di rimandi, di doppi sensi, di ribaltamenti di prospettiva che Insinna e Fiume padroneggiano con grande affiatamento. Il pubblico ride, senza dubbio, ma non si tratta di una risata fine a se stessa. È la risata della consapevolezza, del riconoscersi in certe dinamiche, dell’amarezza che traspare dietro la leggerezza apparente.
C’è un momento in cui Anna esplode in un monologo sulla condizione delle donne, sulla violenza, sulla necessità di non arrendersi. È qui che lo spettacolo si fa improvvisamente serio, intenso, lontano da ogni stereotipo. Ed è qui che si coglie la vera grandezza di un testo che, a quasi quarant’anni dalla sua prima rappresentazione, continua a parlare con una voce chiara e potente. Il successo di questa edizione è più che meritato. Applausi a scena aperta, ovazioni finali: il pubblico riconosce quando il teatro sa ancora raccontare qualcosa di vero. E questo spettacolo lo fa, con intelligenza, con cuore, con una straordinaria capacità di trasformare la leggerezza in profondità.