Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2025-2026
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti, Libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma “Le Roi s’amuse” di Victor Hugo.
Musica di Giuseppe Verdi
Il duca di Mantova IVÁN AYÓN-RIVAS
Rigoletto LUCA SALSI
Gilda MARIA GRAZIA SCHIAVO
Sparafucile MATTIA DENTI
Maddalena MARINA COMPARATO
Giovanna CARLOTTA VICHI
Il conte di Monterone GIANFRANCO MONTRESOR
Marullo ARMANDO GABBA
Matteo Borsa ROBERTO COVATTA
Il conte di Ceprano MATTEO FERRARA
La contessa di Ceprano ROSANNA LO GRECO
Un usciere di corte NICOLA NALESSO
Un paggio della duchessa SABRINA MAZZAMUTO
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Daniele Callegari
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Agostino Cavalca
Light designer Alessandro Carletti
Video designer Roland Horvath
Nuovo allestimento Dutch National Opera, Amsterdam
Venezia, 7 febbraio 2025
Venezia, Teatro La Fenice. È di nuovo in cartellone, dopo circa tre anni, il Rigoletto nell’allestimento ideato dal vulcanico Damiano Michieletto per Dutch National Opera di Amsterdam, dove andò in scena nel maggio 2017. Ancora sul podio del teatro veneziano Daniele Callegari, nel ruolo eponimo Luca Salsi e in quello del duca Iván Ayón-Rivas. Un uomo ossessionato da un tremendo senso di colpa, che gli ha sconvolto la mente: tale appare, nella concezione di Michieletto, il personaggio del Buffone, che il regista veneziano ci presenta come un padre divenuto folle per aver causato inconsapevolmente la morte violenta dell’amatissima figlia, Gilda. All’interno di uno squallido stanzone d’ospedale psichiatrico, Rigoletto passa in rassegna, in un lungo flashback, le vicende cruciali della sua vita, culminanti appunto nell’assassinio di Gilda da parte di un Killer di professione: un’immane tragedia, di cui si sente responsabile e rispetto alla quale contrastano alcune proiezioni in bianco e nero, rievocanti l’infanzia della fanciulla, fin da allora anelante a liberarsi dalla clausura, a cui la costringe il genitore. Proprio questo suo desiderio di vita, ne farà la vittima predestinata di un dongiovanni incallito, qual è il Duca. Le apparizioni in palcoscenico di una sorta di “doppio” della sventurata giovane – che si cela sotto una maschera bianca, raffigurante il volto dell’incallito libertino, e porta con sé un velo nero: il suo futuro lenzuolo funebre – preannunciano simbolicamente la tragica fine che le è riservata. Michieletto, dunque, propone una lettura che rompe con la tradizione, sebbene ricorra a soluzioni già viste in altri spettacoli: la vicenda come il
frutto dell’attività psichica del protagonista; il ricorso a risorse multimediali; l’eliminazione dal corpo di Rigoletto della proverbiale gobba, che appare invece, finta, sulla schiena di Monterone. Un espediente, che avvicina il Conte al Buffone: anche lui è un padre, che va dal Duca per difendere l’onore della figlia, venendo umiliato. Una buona intuizione di Michieletto, che nondimeno ci consegna uno spettacolo per certi versi non corrispondente alla ricchezza della concezione verdiana. Il fatto che l’azione si svolga su una scena fissa – uno stanzone d’ospedale con inquietanti squarci alle pareti, dove predomina il bianco – e che questo colore prevalga anche nei costumi dei personaggi e dei coristi – questi ultimi nascosti, come Gilda, sotto la maschera effigiante il Duca – stride, a nostro avviso, in molti casi con la ricchezza espressiva, con la raffinata varietà coloristica della scrittura verdiana. Dal punto di vista musicale l’opera ci rivela un Verdi ormai
scaltrito e teso al rinnovamento del proprio linguaggio: un Verdi, che Daniele Callegari ci ha degnamente restituito, mettendo anche bene in risalto il ruolo fondamentale, che assume ormai l’orchestra, non più mero accompagnamento del canto. Ineccepibile l’affiatamento tra la buca e il palcoscenico; doveroso il ripristino del più genuino dettato dell’autore – in base all’edizione critica – eliminando certe, ormai anacronistiche, “varianti” di tradizione. Decisamente autorevole Luca Salsi, nel ruolo di Rigoletto, che ha sfoggiato un timbro scuro ed omogeneo, oltre a un fraseggio scolpito, nell’esprimere il dualismo psicologico del protagonista, capace di dimenticare la sua condizione di giullare di corte, per mutarsi in “altr’uomo”, in un padre affettuoso seppure ossessivo. Salsi ha convinto, soprattutto per la sua capacità di aderire alla “parola scenica” nelle arie come nel declamato drammatico, attraverso cui Verdi esprime il mondo interiore del protagonista. Assoluto dominatore sulla scena, ha saputo esprimere – col gesto, oltre che con la voce – le più diverse situazioni psicologiche che attraversa uno tra i
più complessi eroi creati dal compositore. Ragguardevole in “Pari siamo” e poi in “Cortigiani”, sottolineando le diverse dimensioni psicologiche che si succedono nelle due celebri pagine. Gli ha pienamente corrisposto la Gilda delineata a tutto tondo da Maria Grazia Schiavo, che con voce limpida e omogenea ha saputo analogamente coniugare aspetti contrastanti del personaggio – l’ingenuità con la determinazione, fino all’estremo sacrificio – brillando nei duetti con il padre, così come nella celebre aria “Caro nome”, tra colorature e acuti emessi a mezza voce. Davvero encomiabile anche Iván Ayón-Rivas – almeno per noi, una vera e propria rivelazione – nel consegnarci un Duca di Mantova beffardo e appassionato, grazie ad una voce estesa e dal timbro nobilmente metallico, che faceva pensare a
un Lauri Volpi: scanzonato libertino in “Questa o quella” e “La donna è mobile”; affettuosamente patetico in “Parmi veder le lagrime”; appassionato in “È il sol dell’anima”. Passando agli altri ruoli, forse un po’ troppo “leggero” timbricamente è apparso lo Sparafucile di Mattia Denti, che ha comunque efficacemente delineato un personaggio dai modi spregiudicati quanto insinuanti, aderendo alla tessitura abbastanza impervia del proprio ruolo come si è sentito nel duetto, insieme a Rigoletto, “Signor …/Va, non ho niente”. Credibile, tutt’altro che macchiettistica, è risultata Marina Comparato nei panni di una seducente Maddalena. Nobilmente tragico era il Monterone di Gianfranco Montresor. Bene si sono comportati anche Carlotta Vichi (Giovanna), Armando Gabba (Marullo), Roberto Covatta (Matteo Borsa), Matteo Ferrara (Il conte di Ceprano), Rosanna Lo Greco (La contessa di Ceprano), Nicola Nalesso (Un usciere di corte) e Sabrina Mazzamuto (Un paggio della duchessa), oltre al coro, istruito da Alfonso Caiani. fattosi come sempre apprezzare. Repliche fino al 28 febbraio.
Venezia, Teatro La Fenice: “Rigoletto”
