Verona, Teatro Filarmonico: “Missa K 427” di Mozart

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Sinfonica 2025
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Enrico Onofri
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Soprani Gilda Fiume, Arianna Vendittelli                                                            Tenore Krystian Adam
Basso Adolfo Corrado
Michael Haydn: “Sinfonia in Do maggiore n. 39”; Wolfgang Amadeus Mozart: “Messa in do minore per soli, coro e orchestra K 427”  
Verona, 31 gennaio 2025
Dopo l’apertura della Stagione Lirica nel nome di Salieri, con il Falstaff riproposto a cinquant’anni esatti dalla riapertura al pubblico del Teatro Filarmonico, la Fondazione Arena di Verona affida al suo antagonista musicale Mozart il compito di inaugurare la Stagione Sinfonica; e lo fa con una delle sue massime espressioni nel campo della produzione sacra, quella Messa in do minore K 427 rimasta poi incompiuta per mancanza di tempo (gli anni viennesi furono per Mozart particolarmente gravosi sotto il profilo compositivo). Scritta di propria spontanea volontà, per sciogliere un voto teso ad ottenere il consenso paterno al matrimonio con Constanze ma anche ad una non meglio precisata guarigione della fidanzata, fu poi effettivamente accantonata sia perché un editto imperiale del 1783 limitava l’uso dell’orchestra nelle esecuzioni sacre nelle chiese, sia perché in mancanza di una precisa committenza il lavoro non era retribuito; e in quei tempi di magra, con una famiglia da mantenere, il musicista non se lo poteva certo permettere. Nell’ultimo decennio di vita, a Vienna, Mozart dedicò alla musica da chiesa soltanto questa Messa e il celebre Requiem anch’esso lasciato incompiuto per ben altri motivi. Completa nel Kyrie, Gloria, Sanctus e Benedictus, con il Credo interrotto subito dopo Et incarnatus est e del tutto sprovvista di Agnus Dei, la K 427 si regge sull’equilibrio di quello che fu definito “stilus mixtus” che mescola il severo contrappunto rinascimentale con il gusto operistico delle arie e dei passi solistici. Ecco dunque l’ombra di Bach e di Haendel (ma anche di Alessandro Scarlatti) il cui stile austero viene rielaborato attraverso la propria sensibilità e combinato con il virtuosismo profano delle arie. Un grande affresco vocale e corale teso all’epoca che avanza pur filtrato attraverso le esperienze stilistiche del passato; ben lontane sono le Missae Brevis composte a Salisburgo e fortemente condizionate dai tempi liturgici e dall’organico di cui disponeva la Cattedrale. L’esecuzione al Filarmonico era affidata ad un ottimo quartetto vocale, a cominciare da Gilda Fiume, stupenda già a poche battute dall’inizio, nel Kyrie, in cui sfoggia una linea di canto spiegata ed un fraseggio sensuale e fascinoso portato a compimento in seguito nella meravigliosa aria Et incarnatus est in cui il dialogo con l’oboe si è risolto con profonda e sentita spiritualità. Accanto a lei, Arianna Vendittelli affronta la sua parte più impegnativa nella non facile sortita del Laudamus te con solida professionalità, riuscendo ad equilibrare la densa cantabilità con i passaggi virtuosistici e di coloratura; le due voci si sono poi intrecciate nel Domine Deus con risultati espressivi davvero godibili all’ascolto. Completavano il quartetto di solisti il tenore polacco Krystian Adam e il basso Adolfo Corrado, ai quali questa messa riserva davvero poco, il terzetto Quoniam tu solus sanctus per il primo, e il Benedictus in cui entra anche il basso; in ogni caso un ottimo apporto vocale ben integrato nel tessuto contrappuntistico e nell’intenso lirismo dei due interventi. Purtroppo il coro, a cui è affidata in larga parte questa Messa e preparato da Roberto Gabbiani, non è riuscito ad imporsi nella magistrale scrittura di Mozart, forse a causa di una collocazione troppo arretrata o forse perché avrebbe necessitato di qualche elemento in più, soprattutto nell’esigenza raddoppiata del Sanctus. In sostanza si sono persi, al limite dell’udibilità, i controsoggetti delle fughe; inoltre la resa del suono si barcamenava tra la ricerca degli effetti barocchi e la componente lirico/operistica sempre pronta a prevalere, un confronto rimasto tuttavia irrisolto. Enrico Onofri, che tornava al Filarmonico dopo il Mozart strumentale del 2023, si conferma direttore energico ed appassionato (forse talvolta un po’ sopra le righe) riuscendo comunque ad ottenere un’esecuzione pregnante e vivida dall’orchestra areniana, sempre brillante negli archi e nelle prime parti dei fiati (in primis flauto e oboe), qualità espresse pienamente nella Sinfonia n. 39 di Michael Haydn, fratello minore del più noto Franz Joseph, che ha aperto la serata. Curiosa, quanto inusuale, la disposizione di violoncelli e contrabbassi, magari funzionale in Haydn ma un po’ azzardata nel tenerli lontani dai colleghi “bassi” del coro dei quali raddoppiano le parti. Pubblico abbastanza numeroso ed attento, con due applausi a spezzare la sacralità della messa dopo il Laudamus te e al termine di Et incarnatus est. Foto Ennevi per Fondazione Arena