Ercolano, Villa Campolieto
DALL’UOVO ALLE MELE. LA CIVILTA’ DEL CIBO ED I PIACERI DELLA TAVOLA AD ERCOLANO
allestita dal Parco Archeologico in collaborazione con la Fondazione Ente Ville Vesuviane
Ercolano, 28 marzo 2025
«Ab ovo usque ad mala», scrive Orazio, e con quella formula ci consegna non solo la sequenza canonica di un pasto romano — dalle uova agli acini — ma un’idea precisa di civiltà: ordinata, completa, consapevole. Il cibo non come necessità, ma come linguaggio. La mostra Dall’uovo alle mele, allestita nella Villa Campolieto di Ercolano dal Parco Archeologico in collaborazione con la Fondazione Ente Ville Vesuviane, si presenta come molto più di un’esposizione. È un’opera di pensiero. L’arte del mangiare, per i Romani, era arte del vivere, e vivere significava comporre l’esistenza secondo un ordine morale, simbolico, estetico. Nelle stanze affrescate della villa settecentesca — già in sé emblema di un’idea alta di residenza — i reperti antichi non sono messi in fila, ma messi in dialogo. Pane, fichi, datteri, legumi, uova, olive, miele, pesci, formaggi, frutti di mare. I resti carbonizzati, custoditi per due millenni dalla furia del Vesuvio, tornano oggi a dirci non solo cosa si mangiava, ma come si pensava attraverso il cibo. L’attenzione alla qualità della materia prima, spesso proveniente da remote province dell’Impero (grano egiziano, spezie indiane, garum ispanico), rivela una cultura culinaria profondamente globalizzata, seppure sorretta da un gusto identitario e rituale. Si mangiava con intelligenza, e si cucinava con rispetto: verso gli dei, verso gli ospiti, verso il tempo. L’alimentazione romana, lo dimostra chiaramente questa mostra, era una sofisticata architettura sociale. La mensa non era solo luogo di nutrimento, ma teatro della conversatio, palcoscenico della gerarchia, veicolo di relazioni.
L’aristocrazia si distingueva per le raffinatezze del triclinio, mentre le classi subalterne mangiavano nei popinae, taverne affollate e fragranti, i cui banchi marmorei e pentole annerite riemergono ora come reliquie della vita minuta. Non meno affascinanti sono gli strumenti: pentole di bronzo, coltelli di ferro, paioli, grattugie, mestoli, colini e formelle per modellare i pani. Oggetti che ci parlano di mani, di gesti, di sapere tacito tramandato tra generazioni. Ogni coccio, ogni mestolo, ogni cucchiaio in osso o bronzo è testimonianza della sapienza domestica, un sapere tecnico e poetico insieme. Il cibo si tagliava, si bolliva, si frigeva, si tritava, si pestava nel mortarium con pazienza; le spezie si dosavano con cura, perché anche l’equilibrio dei sapori era, per i Romani, un modo di imitare l’armonia del cosmo. Il garum, la famosa salsa di pesce fermentato, simbolo della cucina imperiale, dice molto della capacità romana di trasformare l’umile in eccelso. Così come i dolci, preparati con fichi secchi, miele e ricotta, anticipano quella raffinatezza che oggi consideriamo nostra, ma che ha lì la sua radice. Il piacere della gola non era un vizio, bensì un esercizio spirituale, una misura di virtù. Ne parla Seneca, che ammonisce contro gli eccessi, ma riconosce la dignità del cibo sobrio; ne parla Apicio, il gastronomo imperiale, che raccolse le sue De re coquinaria come un trattato scientifico della cucina.
Ecco allora che la mostra non è solo narrazione visiva, ma anche proposta etica. In un tempo in cui la filiera alimentare è dominata dalla logica industriale, Dall’uovo alle mele ci chiede di riflettere. Se nel 79 d.C. si moriva, ma si cucinava con rispetto, oggi che viviamo più a lungo siamo forse più lontani dal cibo che ci nutre davvero. L’alimentazione, oggi come allora, è gesto culturale e responsabilità politica: nel piatto che scegliamo, nella spesa che facciamo, nella convivialità che sappiamo costruire. Come ben ricorda il direttore del Parco Francesco Sirano, questa mostra completa un trittico: dagli ori del lusso a Ercolano, ai legni della Reggia di Portici, fino a questo menu dell’identità. L’idea che i reperti siano ambasciatori di senso in luoghi diversi dal Parco è non solo intelligente, ma necessaria. L’archeologia non deve essere custodita, ma distribuita, condivisa, fatta vivere. In conclusione, Dall’uovo alle mele è una mostra che si gusta come un banchetto romano: in cui ogni portata è un frammento di civiltà, ogni utensile un’eco di gesti antichi, ogni spazio della Villa Campolieto un invito alla memoria attiva. Non celebra soltanto ciò che è stato, ma ciò che può ancora essere. Perché ogni cultura che si rispetti comincia — e finisce — a tavola.
Ercolano, Villa Campolieto: “Dall’ uovo alle mele. La civiltà del cibo ed i piaceri della tavola ad Ercolano”
