Jules Massenet (1842 – 1912): “Werther” (versione per baritono 1901)

Dramma lirico in quattro atti su libretto di Édouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann. Tassis Christoyannis (Werther), Véronique Gens (Charlotte), Hélène Carpentier (Sophie), Thomas Dolié (Albert), Matthieu Lécroart (Le Bailli), Artavazd Sargsyan (Schmidt), Laurent Deleuil (Johann / Brühlmann). Children’s Choir of the Zoltán Kodály Hungarian Choir School, Borbála Sapszon e Márton Tóth (maestri del coro), Hungarian National Philharmonic Orchestra, György Vashegyi (direttore). Registrazione: Budapest: Béla Bartók National Concert Hall, 18-22 febbraio 2023. 2 CD Fondazione Palazzetto Bru Zane OF 40.
La Fondazione Palazzetto Bru Zane si è sempre distinta per presentare al grande pubblico titoli poco o punto conosciuti del repertorio francese. “Werther” non rientra certo in questa categoria essendo dell’opera transalpina uno dei titoli più amati e conosciuti. Quello che rende particolare questa proposta è la versione eseguita, quella – apocrifa – che trascrive la parte di Werther per baritono.
L’idea di una versione baritonale aveva tentato a lungo Massenet che nel 1893 aveva ipotizzato un adattamento da destinare a Victor Maurel – il primo interprete di Jago e Falstaff – che prevedeva una revisione totale della partitura con la parte di Albert riproposta in chiave tenorile. Il progetto non andò in porto e di un Werther baritono – questa volta senza intervento diretto di Massenet – si tornò a parlare nel 1901 a Pietroburgo quando il baritono Mattia Battistini interpretò la parte – forse riadattandola lui stesso. La nuova versione si limitava, però, a trascrivere la parte del protagonista lasciando invariato il contesto con il rischio che una sovrabbondanza di voci gravi potesse appesantire la partitura. Problema effettivamente reale che richiede particolare sensibilità da parte degli interpreti e per fortuna l’edizione proposta è semplicemente esemplare.
György Vashegy lo abbiamo spesso apprezzato come esecutore di opere barocche e neoclassiche. Alle prese con un repertorio diverso dimostra di sapersi adattare molto bene alle nuove realtà espressive. Non cerca letture insolite o alternative ma crede fortemente al valore e alla bellezza di questa musica che tenta di valorizzare al massimo. I tempi sono distesi, cantabili – l’attenzione alle voci si fa ognora apprezzare – le sonorità morbide e avvolgenti. Un senso di soffusa melanconia pervade l’intera partitura, ne diventa cifra stilistica dominante e se i momenti più drammatici non mancano della giusta imperiosità è nel soffuso lirismo che troviamo la cifra più autentica di questa lettura. La Filarmonica di Stato ungherese è una compagine orchestrale semplicemente strepitosa capace di creare un velluto sonoro di luminosa e cangiante bellezza, si ascolti a titolo d’esempio il setoso mormorare degli archi che accompagna “Ô nature, pleine de grâce”. Gli assoli spesso presenti in partitura – come quello di violoncello, violino e flauto che accompagna l’entrata di Werther – sono di un’eccellenza che rasenta la perfezione e che si esalta nell’ottimo suono della registrazione.
Tassis Christoyannis compare spesso nei titoli della fondazione ma qui firma il suo capolavoro. La voce è splendida, chiara, luminosa, quasi tenorile nel colore ma con un fondo baritonale di umana sofferenza che arricchisce e rende più sfumata l’interpretazione. Il canto è nobilissimo, morbido, elegante, le mezze voci – perfettamente eseguite – hanno una poesia che raramente si ascolta. La dizione francese semplicemente perfetta gli permette di sfumare ogni parola, di cogliere ogni inflessione. Il suo è un Werther aristocratico e introverso, lontano dalla passionalità con cui l’hanno letto a volte i tenori ma più vicino – nella sua sensibilità così alta rispetto al mondo circostante – all’originale goethiano.
Quasi sugli stessi livelli la Charlotte di Véronique Gens. Il forse è dovuto al fatto che il mezzosoprano belga qualche durezza in acuto la tradisce ma anche nel suo caso la qualità superba dell’interprete fa perdonare qualche nota sporcata. La voce è calda, forse priva di quel sentore di giovinezza che la ventenne Charlotte dovrebbe avere sostituita da una dolcezza estremamente femminile e quasi materna.  Il suo è un canto di commovente sincerità, educato, composto, mai eccessivo, si sente un’anima che palpita sotto un sistema di costrizioni che non può spezzare. Culmine della sua interpretazione la scena della lettera tutta rivolta in un tormento intimo e raccolto reso con esemplare purezza stilistica.
Thomas Dolié è un Albert magnificamente cantato e ben diversificato sul piano vocale rispetto a Werther evitando il rischio maggiore di questa versione. Interpretativamente tratteggia un personaggio un po’ rigido ma nell’insieme bonario, carnefice suo malgrado dell’amico. Hélène Carpentier è un soprano lirico con una voce più ricca e sonora più di quanto si sia abituati per Sophie. Il timbro caldo e morbido da ragione agli inviti di Albert. Matthieu Lécroart ha una voce forse un è po’ chiara per la parte dell’anziano padre di Charlotte ma canta davvero molto bene.  Artavazd Sargsyan – frequente presenza in queste registrazioni – e Laurent Deleuil sono semplicemente impeccabili nella coppia degli amici gaudenti.