Milano, MTM – Sala La Cavallerizza, Stagione 2024/25
“BARBABLÙ”
Drammaturgia di Sofia Bolognini
Interpreti: BENEDETTA BRAMBILLA, SEBASTIANO SICUREZZA
Regia Michele Losi
Scene e Costumi Michele Losi, Annalisa Limonta
Suono Luca Maria Baldini, Stefano Pirovano
Luci Stefano Pirovano, Alessandro Bigatti
Produzione Campsirago Residenza
Milano, 04 marzo 2025
E proprio quando credevamo (speravamo?) che fosse andato in letargo, ecco risvegliarsi in quasi tutta la sua essenza il postdrammatico, naturalmente protagonista di una residenza teatrale organizzata in un paesino delle valli lombarde, ovviamente preso a rileggere e rielaborare un classico, insomma comme il faut. “Barbablù” ci riporta indietro di una quindicina d’anni, quando Milano era molto più satura di adesso di spazi teatrali improvvisati in garage, cantine, strutture di non meglio identificato scopo, animate da gruppi a cavallo tra l’amatoriale e il Premio Ubu, il geniale e il disastroso; per nostra fortuna questa produzione non ambisce a toccare nessuna di queste due vette, ma si mantiene più sul livello di una mediocritas che, se non proprio aurea, almeno potremmo definire argentea. Vi sono, in questo spettacolo, infatti, alcuni spunti molto apprezzabili: in primis il talento degli attori Benedetta Brambilla e Sebastiano Sicurezza, che presentano belle vocalità, espressività non scontate, ritmi generalmente accettabili e fisicità consapevoli; la scena di Michele Losi e Annalisa Limonta è pure interessante, dominata da questi brandelli di blue-jeans che rappresentano ogni singola possibilità del male, e che insieme sembrano proprio una barba blu; funzionali e affascinanti anche le luci di Stefano Pirovano e Alessandro Bigatti, perlopiù, ovviamente, su toni freddi, ma capaci anche di inaspettati sprazzi di calore, che non disorientano, ma conferiscono significati nuovi
a qualche passaggio; e azzeccati anche i costumi (sempre ad opera Losi-Limonta), manco a dirlo blu, che vogliono in qualche modo richiamare anche l’origine barocca della fiaba. Quello che convince meno invece è proprio la modalità di elaborazione drammaturgica e di messa in scena dell’immortale fiaba di Perrault (ad opera, rispettivamente, di Sofia Bolognini e di Miche Losi); ancor prima di entrare avremmo potuto prefigurarci la sua natura laboratoriale, da studio, coi suoi esercizi ormai codificati in ogni modo – ripetere le cose a specchio, creare sequenze di gesti
che supportino/sostituiscano la parola, infrangere i pudori con il turpiloquio, sopportare la prevaricazione fisica dell’altro, riservare alla scena solo l’introspezione simbolica del personaggio e comunicare al microfono o le informazioni circa la vicenda, o il rapporto che l’attore stesso ha costruito col personaggio. Apprezziamo, in questa congerie, che perlomeno non si sia cantata qualche canzone pop degli anni 80 accompagnati da kazoo e ukulele, né si sia proceduto oltremodo a giochi di iterazione. Sia ben chiaro: chi scrive non crede nell’originalità a tutti i costi, quasi ogni regia ripete cose che abbiamo già visto, ma ci si aspetta che siano cose belle, non esercizi di stile spesso fini a se stessi e dall’imperscrutabile comprensione da parte del pubblico medio. Tuttavia, anche in questo contesto, abbiamo apprezzato alcune idee, come quella di far raccontare la storia di Barbablù ai suoi ipotetici figli, quindi a delle creature ibride che non si possano dire davvero avulse a quel male cosmico che si vuole che Barbablù incarni; e con questi occhi da bambini è pure interessante rivivere i grandi genocidi del passato, come naturale eco del localizzato uxoricidio, fino alla semplice presa di responsabilità capace di aprire gli occhi a questi bambini, e a farne, da adulti, dei persecutori del male. Insomma, questo “Barbablù” è uno spettacolo quasi riuscito, che dovrebbe liberarsi da qualche autocompiacimento di troppo per poter parlare chiaramente non solo agli avventori dei teatri. Foto Alvise Crovato
Manifatture Teatrali Milanesi: “Barbablù”
