Milano, Teatro alla Scala, Stagione d’Opera e Balletto 2024/25
“EVGENIJ ONEGIN”
Dramma lirico in tre atti e sette quadri su Libretto di Pëtr Il’ic Cajkovskij e Konstantin Shilowski, tratto dal poema di Aleksandr Sergeevič Puškin
Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
Larina ALISA KOLOSOVA
Tat’jana AIDA GARIFULLINA
Olga ELMINA HASAN
Filipp’evna JULIA GERTSEVA
Evgenij Onegin ALEXEY MARKOV
Lenskij DMITRY KORCHAK
Gremin DMITRY ULYANOV
Capitano HUANHONG LI
Zareckij OLEG BUDARATSKIY
Triquet YAROSLAV ABAIMOV
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Timur Zangiev
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Regia Mario Martone
Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Daniela Schiavone
Video Alessandro Papa
Nuova produzione del Teatro alla Scala
Milano, 05 marzo 2025
La nuova produzione dell’“Evgenij Onegin” scaligero può ben fregiarsi di un cast di livello altissimo, accuratamente selezionato tra i migliori interpreti di lingua russa in circolazione. Alexey Markov è un Onegin dalla vocalità sontuosa, forse solo un po’ povero di fraseggio nei primi atti, ma che nel terzo sfodera slanci appassionati e un’intensa recitazione; gli fa da contraltare il Lenskij di Dmitry Korchak, voce forse un po’ “leggera” per il ruolo, ma superbo fraseggiatore, ricco di accenti patetici e dalla dizione singolarmente limpida (la sua aria del secondo atto è magistrale, e il teatro non può esimersi dal riconoscerlo con generosissimi applausi, che invece non riserva alla maggior parte della recita); conclude il terzetto di eccellenza maschile Dmitry Ulyanov, Gremin di ragguardevole dolcezza, così distante dallo stereotipo tutto polmoni che abbiamo dei bassi russi: la sua romanza è un altro momento apprezzatissimo dal pubblico. Accanto a loro quattro ottime interpreti incarnano le donne della famiglia Larin: Alisa Kolosova è una convincente Larina, matronale e ingenua al punto giusto, la voce tonda, piacevolmente scura, si fa riconoscere; la Tat’jana di Aida Garifullina è semplicemente un angelo, di bellezza e grazia rare, sul piano vocale sfoggia colori bellissimi e la pienezza di armonici ma che non compensano del tutto la mancanza di un reale corpo vocale per questo ruolo e arriva al duetto finale dell’opera con un certo senso di affanno, pur mantenendo perfettamente il focus sul personaggio; che dire di Elmina Hasan, la recente scoperta di Operalia, bella voce contraltile
profonda e suadente come sembra che solo oltre la Volga possano nascere? Nel ruolo di Olga è bellissima e altera, e certamente l’interprete azera sarà una delle superstar di un molto prossimo domani; infine, dolcissima njanja Filipp’evna è Julia Gertseva, solido mezzosoprano in grado di cesellare con attenzione la sua parte, mantenendosi su una linea di canto sapientemente omogenea. Tutti ben a fuoco anche i ruoli di lato, tra cui spicca naturalmente Yaroslav Abaimov nel ruolo del poeta francese Triquet, contraddistinto da una voce tenorile di grazia dai morbidi accenti giustamente manierati (visto il personaggio). Anche il direttore Timur Zangiev, sorprendentemente giovane, ci regala una concertazione di grande coesione, tutta
al servizio della scena e del canto, ma capace di ritagliarsi momenti di significativo nitore, come l’ouverture o la celebre polonaise dell’atto terzo. Gli unici dubbi che abbiamo sull’effettiva riuscita di questo “Onegin” riguardano l’apparato creativo; in questa produzione, infatti, assistiamo a un singolare paradosso, ossia quello di una regia (a cura Mario Martone) molto ben riuscita nella costruzione delle dinamiche tra personaggi e nella gestione del coro, ma decisamente opinabile circa la messa in scena, che trasferisce la vicenda in una generica contemporaneità, cui evidentemente manca bellezza, un minimo di allure, per lasciare invece spazio a roghi di libri, case che crollano, costumi da provincia degradata – a parte per il breve terzo atto, dove però l’opulenza che dovrebbe contraddistinguere casa Gremin si riduce a qualche abito da sera e due o tre sofà
Luigi XV. Inoltre il voler ricreare unicamente la camera di Tat’jana in mezzo alla natura, ottiene un poco gradevole “effetto gabbiotto” nel cuore, peraltro, di una campagna raffazzonata e sbrigativa, con il cielo solo sulla parete di fondo e le quinte nere a vista (per dire solo di un elemento che ci è parso stonato). Dispiace per Margherita Palli e Ursula Patzak, brave artiste che ci hanno abituati a ben altre grandiose messe in scena; in compenso le luci di Pasquale Mari ci sono sembrate davvero azzeccate, con il culmine al terzo atto, quando la festa di casa Gremin viene
proiettata su un sipario di tulle rosso, ottenendo un effetto stranito e sovrapposto che ci ha ricordato l’apertura di “Mulholland Drive” di Lynch. Un plauso anche alle coreografie di Daniela Schiavone, semplici ma di grande impatto, capace di dare comunque un tocco di folklore in questa regia così occidentalizzante. Come già detto, non sappiamo se per la resa scenica o per altre ragioni, il numerosissimo pubblico in sala è stato gelido e il teatro è stato semivuoto già alla chiamata degli applausi individuali: un penoso spettacolo, questo sì, a fronte di un’opera che già di per sé avrebbe meritato lunghi tributi, e un cast certamente meritevole di un atteggiamento più educato da parte del pubblico. Foto Brescia & Amisano