Milano, Teatro alla Scala, Stagione 2024/25
“SOLITUDE SOMETIMES”
Coreografia Philippe Kratz
Musiche Thom Yorke, Radiohead
Interpreti: MARTINA ARDUINO, CAMILLA CERULLI, LINDA GIUBELLI, ALESSANDRA VASSALLO, STEFANIA BALLONE, DOMENICO DI CRISTO, CHRISTIAN FAGETTI, NAVRIN TURNBULL, ANDREA CRESCENZI, DARIUS GRAMADA, SAID RAMOS PONCE, ANDREA RISSO, GIOACCHINO STARACE, RINALDO VENUTI
Scene Carlo Cerri, Philippe Kratz
Costumi Francesco Casarotto
Luci Carlo Cerri
Video designer Carlo Cerri e OOOPStudio.
“ANNONCIATION”
Coreografia Angelin Preljocaj
Musiche Stéphane Roy e Antonio Vivaldi
L’Ange CATERINA BIANCHI
Marie AGNESE DI CLEMENTE
Costumi Nathalie Sanson
Luci Jacques Châtelet
“CARMEN”
Coreografia Patrick de Bana
Musiche Rodion Ščedrin, El Pele & Vicente Amigo, Montse Cortés con Juana La Del Pipa
Carmen NICOLETTA MANNI
Don José ROBERTO BOLLE
Scene Ricardo Sánchez Cuerda
Costumi Stephanie Bäuerle
Luci Ivan Vinogradov
Milano, 1 marzo 2025
Com’è ormai da consuetudine di questo periodo, abbiamo assistito presso il Teatro alla Scala alla seconda delle serate contemporanee Kratz/Preljocaj/de Bana, tre coreografi di spicco degli ultimi decenni. Il primo spettacolo è un piacevole ritorno, Solitude Sometimes di Philippe Kratz. Aveva debuttato in prima assoluta proprio alla Scala due anni fa, a nostro giudizio con successo (qui la nostra recensione). Oggi confermiamo quanto detto, aggiungendo che la parte più felice della coreografia è quella su musica di Thom Yorke, e forse abbiamo compreso il perché questa coreografia ci abbia affascinato: elementi semplici, quasi “pop” (ad esempio quella sorta di moonwalk sul posto) sono miscelati ad altri più complessi senza l’effetto del posticcio (e la musica di Thom Yorke scelta ne è un altro esempio: musica elettronica più “pura”, ma resa comprensibile ad un orecchio meno esperto); poi alcune citazioni o stilemi (ma non sapremmo se definirli/e tali e se siano voluti/e. Una per tutte: le parti di coreografia danzate “piatte” com’era in Prelude di Nijinskij) che vivono però di vita propria, e sono ben innestate nel fluire della coreografia. La felicità di Solitude Sometimes è data anche dal fatto che la coreografia non si ostina a voler raccontare la fonte di ispirazione – difetto di molte coreografie contemporanee che aspirano all’astrazione – e quindi vive senza appoggi esterni: un balletto astratto deve essere tale, non astrarre ex nihilo (a dirla con Epicuro), ma divenire altro e vivere da sé. Solitude Sometimes prende la suggestione del fluire delle vite com’è nel Libro dei Morti egizio del museo di Torino, ma senza volerlo rappresentare, vediamo solamente una sfilata di ballerini i cui
ispirati movimenti coreografici fanno il resto. Il secondo spettacolo è Annonciation di Angelin Preljocaj. È una coreografia nata nel 1995, debuttò in Scala nel 2002, e fu rappresentata sulle scene scaligere per ben tre anni di fila per poi scomparire. È un’opera figlia del suo tempo: è su musica di Stéphane Roy con innesti del Magnificat di Vivaldi (un po’ ci ricorda quella di John Oswald), e un fascino per il tableau vivant, com’è per esempio per Bella Figura di Kylián del 1996. Molte sono le citazioni di quadri, inserite in tempi che vengono dilatati in molte occasioni com’è nelle opere di Bill Viola. Per questi motivi, nonostante l’interesse che può scaturire da questo spettacolo, per chi vi scrive ne sono evidenti anche i limiti: oltre alle citazioni che sembrano in parte rimanere tali, il legame con il tema di ispirazione sembra troppo vincolante seppur volendosene emancipare, stabilendo quindi un equilibrio precario per cui lo spettatore è indeciso su cosa trarne. In più i mezzi coreografici e i tempi dilatati in cui poco succede delega tutto a delle piccole sfumature percepibili solo a chi è seduto nelle primissime file: un modo quindi più cinematografico che teatrale di condurre l’azione. Annonciation rimane comunque un interessante testimone di un momento di cultura della danza. Belle le interpretazioni di Caterina Bianchi e Agnese Di Clemente. Termina la serata il debutto di Carmen di Patrick De
Bana. Coreografo che ha mietuto successi, ma qui fallisce. Forse consapevolmente, perché ha dichiarato: “tutti conoscono la storia di Carmen, perché raccontarla di nuovo? Ci sono già versioni molto belle, non sarebbe di alcun interesse personale rifare qualcosa che è già stato fatto molte volte”. Ma per aggiungere poi: “cerco sempre di catturare, focalizzarmi su qualcosa. Probabilmente è perché, in quanto persona fatta di commistioni, non ho mai potuto scegliere la strada più facile […] E così nei miei balletti cerco sempre di leggere fra le righe, e cercare cosa c’è dietro il sipario”. E per fare ciò vuole tornare maggiormente alla Spagna gitana e al racconto di Merimée da cui è tratta la celebre opera di Bizet, che illustra altre sfumature psicologiche. L’intento ha un suo interesse, ma il fallimento è in prima battuta già nella scelta musicale: di nuovo Bizet (per altro non di prima mano, ma su temi rimaneggiati da Ščedrin e presentati in musica registrata). Infatti, per poter dire quello che De Bana voleva ha dovuto innestare o sostituire alcuni pezzi di Bizet con della musica da flamenco, come quelle di El Pele & Vicente Amigo. Possiamo quindi concludere che una
cornice di seconda mano (in questo caso quella messa punto da Ščedrin, che già era un riadattamento fatto per altre esigenze) spesso non è adatta ad un quadro di misure differenti, con effetti di dubbio gusto. La coreografia ne soffre di conseguenza, anche per un inevitabile confronto con il precedente illustre di Roland Petit. La ricerca di una musica differente, e forse anche maggiormente adatta alle esigenze poietiche, avrebbe indotto meno al paragone e forse stimolato meglio la coreografia. Ciononostante, i danzatori ballano con la massima professionalità e vengono molto applauditi. I protagonisti Nicoletta Manni e Roberto Bolle più per fama, perché le loro parti si perdono un po’ nella coreografia (che ci appare a tratti anche un po’ troppo “frenetica”), mentre si distingue il torero di Marco Agostino, e notiamo i calorosi applausi per Maria Celeste Losa (Michaela), Edoardo Caporaletti e Andrea Crescenti (nei ruoli de La Morte e Il Toro, presenti quasi sempre in scena ma con ruoli spesso non così ben amalgamati alla coreografia). Si replica il 4 (doppio appuntamento), 6, 7 e 12 marzo. Foto Brescia & Amisano