Napoli, Teatro Bellini: “Extra Moenia”

Napoli, Teatro Bellini, Stagione 2024/25
“EXTRA MOENIA”
Spettacolo di Emma Dante
Il migrante VERDY ANTSIOU
Il militare ROBERTO BURGIO
La donna che cerca casa ITALIA CARROCCIO
Il ferroviere ADRIANO DI CARLO
L’innamorata ANGELICA DI PACE
La donna iraniana SILVIA GIUFFRÈ
Calciatore GABRIELE GRECO
La donna ucraina FRANCESCA LAVIOSA
Il figlio della famiglia religiosa DAVID LEONE
Calciatore GIUSEPPE MARINO
Maria GIUDITTA PERRIERA
Il padre della famiglia religiosa IVANO PICCIALLO
La madre della famiglia religiosa/la vittima dello stupro LEONARDA SAFFI
L’innamorato DANIELE SAVARINO
Luci Luigi Biondi
Sarta Mariella Gerbino
Assistente ai Movimenti Davide Celona
Assistente di Produzione Daniela Gusmano
Capo reparto fonica Giuseppe Alterno
Produzione Teatro Biondo Palermo
Napoli, 12 marzo 2025
Il corpo è al centro di Extra Moenia: il corpo di una donna ucraina che, arrivata in Italia, è costretta dalla fame a prostituirsi; il corpo di un’altra donna, violentata da un gruppo di soldati. Il soldato anziano, prima dello stupro, abbandona la scena, ma porta con sé, come un «trofeo», il vestito della vittima. È una scena estremamente straziante: l’apice drammatico dell’opera, determinata peraltro da emozionanti atmosfere musicali. Commuove anche la vicenda della studentessa universitaria iraniana che affranca il suo corpo dall’obbligo del velo, e che, coraggiosamente, estremizza la protesta privando il corpo anche dei vestiti (un evento scenico che trae ispirazione da un avvenimento effettivamente accaduto a Teheran, riferito dalle cronache lo scorso novembre); Straziante è anche la raffigurazione scenica del corpo del migrante, costretto dal «caporale» a sgobbare e a sfacchinare come un animale da soma (drammaticità restituita dall’attore che, in scena, corre indossando una maschera ritraente la testa di un cavallo); ci sono anche corpi irrimediabilmente incastrati in nuclei familiari asfissianti, che privano i loro membri di autonomia e libertà. I motivi ricorrenti in tutte le storie, che strutturalmente determinano questa pièce, sono il corpo «trasformato» dalla realtà prepotente e prevaricatrice e le «reazioni», politiche e sociali, dell’essere umano quando è sottoposto a prevaricazioni. Emma Dante, regista-drammaturga, osserva pragmaticamente la realtà, estremizzando ulteriormente in scena la drammaticità degli argomenti sottratti alla realtà. Gli elementi teatrali (gestuali e verbali) assumono una tragicità destinata a restare irrisolta, perché questo è un lavoro teatrale che non pretende di essere osservato come un’opera documentaristica (nonostante il realismo visivo e scenico attraverso cui vengono rappresentati i fatti), ma riesce a raccontare senza raccontare «effettivamente». In questa pièce, la componente letteraria assume un valore secondario, perché a «raccontare» i fatti ci pensa il corpo. Il testo è ridotto all’osso, e le ossa del corpo letterario sono informazioni che gli attori adoperano per restituire allo spettatore i loro ritratti psicologici: la «caratterizzazione» dei personaggi accade rapidamente, con esaustivi interventi iniziali, opportunamente risolti attraverso un uso «teatrale» ed emozionale delle voci. Gli attori, paradossalmente, dopo le presentazioni iniziali, avrebbero potuto «parlare» anche soltanto attraverso i loro corpi, perché la tragicità delle vicende sarebbe emersa comunque: il resto della costruzione teatrale dei personaggi è affidata al linguaggio gestuale e mimico; è affidata a movimenti scenici e coreografici articolati, determinati da traiettorie spigolose risolte coralmente: gli attori, in gruppo, attraversano nervosamente la scena e, ogni tanto, dal «coro» emerge un attore, che espone altri dettagli sul conto del suo personaggio. I personaggi, a turno, si staccano da quel gruppo ancora incastrato in una marcia «fine a se stessa», e, sia pure per breve tempo, ritrovano un’autonomia scenica, espressiva e, dunque, sociale. Ma, dopo qualche parola, qualche gesto, dopo pochi minuti, il personaggio viene nuovamente inglobato nel gruppo. Il gruppo si appropria nuovamente del personaggio, che riprende a marciare, tornando a «condividere» i suoi tormenti interiori con quelli degli altri. Il senso «politico», sia pure un po’ didascalico, della pièce emerge con evidente chiarezza: il tema della fraternità (osservata, però, come un sentimento irrecuperabile) determina tutta l’opera, e soprattutto la scena finale, estremamente commovente, raffigurante un gruppo di migranti che, sprofondato in un mare di bottigliette di plastica, cerca di salvarsi. Davvero ottimi, dunque, tutti gli attori: Verdy Antsiou (il migrante), Roberto Burgio (il militare), Italia Carroccio (la donna che cerca casa), Adriano Di Carlo (il ferroviere), Angelica Di Pace (l’innamorata), Silvia Giuffrè (la donna iraniana), Gabriele Greco (calciatore), Francesca Laviosa (la donna ucraina), David Leone (il figlio della famiglia religiosa), Giuseppe Marino (calciatore), Giuditta Perriera (Maria), Ivano Picciallo (il padre della famiglia religiosa), Leonarda Saffi (la madre della famiglia religiosa/la vittima dello stupro), Daniele Savarino (l’innamorato). È, inoltre, evidente l’inevitabile «frammentarietà» della struttura dell’opera, a cui però la drammaturga cerca di porre rimedio rendendo estremamente fluido e rapido il passaggio da una scena all’altra, da una vicenda all’altra; rapidità peraltro estremamente necessaria, dettata anche dalla brevità del lavoro teatrale, durato un’ora. Le «trasformazioni» sceniche, dunque, avvengono attraverso frequenti cambi di abiti, mentre le azioni teatrali continuano ad accadere in uno «non-spazio» scenico, totalmente nero, ma determinato dalle nitide luci di Luigi Biondi e vivificato dalle tinte sgargianti dei costumi, costruiti dalla sarta Mariella Gerbino. Si è trattato, dunque, di un lavoro teatrale estremamente interessante, accolto da un pubblico numeroso, tanto commosso e appassionato. Foto © Rosellina Garbo