Firenze, Maggio Musicale :”Norma”

Maggio Musicale Fiorentino – Stagione lirica 2025
NORMA
Tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani, dalla pièce teatrale “Norma, ou l’infanticide” di Louis-Alexandre Soumet.
Musica di VINCENZO BELLINI
Pollione MERT SÜNGÜ
Oroveso RICCARDO ZANELLATO
Norma JESSICA PRATT
Adalgisa MARIA LAURA IACOBELLIS
Clotilde ELIZAVETA SHUVALOVA
Flavio YAOZHOU HOU
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Michele Spotti
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Andrea De Rosa
Scene Daniele Spanò
Costumi Gianluca Sbicca
Luci Pasquale Mari
Movimenti coreografici Gloria Dorliguzzo
Nuovo allestimento del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, 18 marzo 2025
Grande e inattesa recita di “Norma” questa sera al Maggio Musicale Fiorentino, andata in scena con lodevole impegno di tutte le maestranze in seguito al rinvio della rappresentazione del 14 marzo per l’allerta meteo in codice rosso, in modo da non privare il pubblico di un titolo assente dal 1978. Le scene di Daniele Spanò ci conducono in una sorta di accampamento-carcere, dominato da una rotonda vasca per aspersioni che dischiude il levarsi lunare, dove il popolo è soggiogato dalle sevizie degli invasori e tenuto minacciosamente sotto tiro. I principi costruttivi e gli abiti sono moderni, ma entro un’aura atemporale, dove la mistica sacralità dei riti è evocata dalla gestualità e dai dettagli dei costumi ideati da Gianluca Sbicca, ricchi di accessori atti ai rituali. Ne è riprova il sanguigno abito di Norma del finale, da cui s’innesca la concatenazione degli archi di catene dorate che man mano mettono al laccio i due protagonisti, rendendo la fatale sacerdotessa vittima del suo stesso cerimoniale. D’effetto l’utilizzo del ponte mobile con cui il bunker dove vivono Norma e Pollione viene fatto emergere dalle viscere della terra, squallido rifugio della dimensione privata di Norma e custode dei ricordi della coppia che tanto scuoteranno Adalgisa, nelle cui scene l’attenzione al dettaglio registico è assimilabile a quella del teatro di prosa. Magistralmente, il bunker riappare nel finale, a testimoniare che sono due bimbi in cerca della loro mamma a scontare la pena più severa. In tale contesto, anche le luci di Pasquale Mari concorrono alla suggestione sacrale, mentre le vivaci coreografie di Gloria Dorliguzzo danno vigore a una vicenda viva e particolareggiata, che appare passata, presente e futura allo stesso tempo. La regia di Andrea De Rosa elude, dunque, l’ardua impresa di rappresentare una “Norma” tradizionale, ma senza snaturarne l’essenza, anzi rendendola coinvolgente e vicina al pubblico, al punto che in platea si è potuto sentire alcuni spettatori esclamare: “… quando si dice un vero spettacolo!”. Dalla buca, la direzione di Michele Spotti recupera il brio dell’ouverture rossiniana, per una conduzione senza soluzione di continuità, vibrante e sensibile ai diversi nuclei motivici che figurano i contenuti psicologici dell’intreccio. Complice di un solido fondale orchestrale e in sintonia col professionale coro di Lorenzo Fratini, il direttore riduce al minimo i tagli e riesce a trovare le giuste soluzioni per far emergere sia le peculiarità dei cantanti, che i sottili effetti coloristico-dinamici con cui Bellini accarezza le ricorrenze tematiche più fascinose di questa immortale partitura. Jessica Pratt, che al tempo de “I Puritani” del 2015 non sembrava intenzionata a cantare “Norma” prima dei 40 anni, scioglie senza riserve il suo debutto nel ruolo della complessa sacerdotessa, che Bellini scrive per soprano lirico-drammatico con agilità, frequentemente approcciato da soprano lirici stridenti in acuto o soprano acuti d’agilità svantaggiati su centri e gravi. La Pratt sulla carta appartiene alla seconda tipologia e ne è consapevole, come testimoniano le insolitamente frequenti prese di fiato sull’ipnotico “Casta Diva” (cantato nell’originale tonalità di Sol maggiore), anche se il graduale scolorimento timbrico sui centri è qui smorzato da un tessuto orchestrale correttamente esile e da una tessitura che esplora in rapidità tutta l’estensione e su cui il declamato in affondo è accuratamente risolto. Con tali caratteristiche della scrittura, non è difficile per la cantante sublimare l’intrinseco lirismo della vocalità belliniana con una costellazione di sbalzate variazioni d’agilità e puntature acute personalizzate, su cui il luminoso timbro si diffonde per la sala con mirabile forza proiettiva, in nome di una Norma da ricordare per l’elevata caratura belcantistica. L’intero spettro vocale e coloristico è vagliato con meticolosità e afflato con la parte. Così, i tonanti accenti a piena voce verso Pollione e Adalgisa, le funamboliche colorature di sfogo interiore, le tenere fioriture e gli illusori filati con cui il cuore guarda al miraggio, la dolente identificazione con Medea, i madrigalismi sonori di condanna, il fraseggio singhiozzante di una furia trattenuta a stento e, infine, l’intenso pathos declamatorio, scolpiscono con carisma l’alterazione mentale e l’iridescenza di questo emblematico personaggio. Le era degna rivale l’Adalgisa di Maria Laura Iacobellis, già apprezzata Clorinda ne “La Cenerentola” della stagione autunnale. Il secondo soprano prende parte con nitore alle difficili cadenze a cappella con Norma e plasma il ruolo contando sulla duttilità di un omogeneo strumento vocale. Se i centri sono adeguatamente corposi, gli acuti risuonano meno angelici di quelli della Pratt, ma comunque ben emessi e incastonati in un fraseggio di rilevante carica espressiva, capace di sicuri virtuosismi e legati dall’ammirevole resistenza respiratoria. Un’Adalgisa disinvolta, empatica e responsabile, che porta a casa una prova di tutto rispetto. Al loro fianco, rimane più sullo sfondo il fondo Pollione di Mert Süngü, che dà il meglio nella fierezza d’accenti in recitativo, stagnando per il resto su un canto monocorde e privo di “chioma” sugli acuti, che non sempre fa emergere la seduttiva passionalità della scrittura da tenore lirico di forza. Pietoso e autoritario al punto giusto, invece, il timbrato e perlopiù rotondo Oroveso di Riccardo Zanellato, il cui timbro ben si addice alle frequenti incursioni nel registro più acuto, restituendo con determinazione sia i maestosi moniti nei confronti della collettività, che l’accorato volgere al perdono finale. Convincenti e ben a fuoco anche i puntuali interventi di Elizaveta Shuvalova (Clotilde) e Yaozhou Hou (Flavio). Al termine, l’attonito pubblico del Maggio Musicale Fiorentino tributa un sentito consenso verso tutti gli artisti, con particolare enfasi per la protagonista.