Ostia Antica, Parco Archeologico: “Il mikveh dimenticato”. Una scoperta straordinaria per la storia della diaspora ebraica

Ostia Antica, Parco Archeologico
IL MIKVEH DIMENTICATO
Una scoperta di straordinaria importanza archeologica è avvenuta nell’estate del 2024 a Ostia Antica, antica città portuale di Roma. Durante gli scavi condotti nell’ambito del progetto OPS – Ostia Post Scriptum, è stato individuato un mikveh, un bagno rituale ebraico, databile all’età imperiale e frequentato fino al tardo antico. Si tratta del primo ritrovamento di questo genere nella diaspora ebraica occidentale, fuori dai territori tradizionali di Israele, Giudea e Galilea, e offre una testimonianza fondamentale sulla presenza ebraica nella città di Ostia. Il mikveh, nella tradizione giudaica, è una vasca destinata alla purificazione rituale. La legge religiosa ebraica (Halakhah) stabilisce che deve contenere acque “vive”, ossia non trasportate, ma provenienti direttamente da sorgenti naturali o raccolte dalla pioggia, e deve permettere l’immersione completa del corpo. L’immersione ha valore spirituale e simbolico, sancendo il ritorno a uno stato di purezza, e costituisce un aspetto centrale della pratica religiosa ebraica, associato a diversi ambiti della vita quotidiana, da quello personale e familiare fino alle pratiche collettive. La scoperta è avvenuta all’interno di un importante edificio posto nella cosiddetta “Area A” di Ostia Antica, un settore strategico della città mai indagato sistematicamente prima di oggi. L’area si trova nel cuore dell’antico impianto urbano, tra i Grandi Horrea, il Piazzale delle Corporazioni e il Mitreo delle Sette Sfere. Nonostante la sua centralità e la vicinanza ad alcuni degli edifici più significativi della colonia romana, fino al progetto OPS non era stata oggetto di scavi sistematici. Il progetto OPS – Ostia Post Scriptum è nato nel 2022, grazie a una collaborazione tra il Parco Archeologico di Ostia Antica, l’Università degli Studi di Catania e il Politecnico di Bari. Dopo decenni, il Parco ha ripreso in prima persona l’iniziativa di indagini archeologiche, con l’obiettivo di approfondire la conoscenza della città, restituire continuità ai percorsi di visita e promuovere una riflessione condivisa attraverso azioni di public archaeology. L’area A è stata individuata come zona prioritaria per la sua importanza topografica e per l’integrità dei depositi stratigrafici, mai manomessi in epoca moderna. Durante gli scavi, è emerso un grande edificio dotato di sontuose pavimentazioni a mosaico in tessere bianche e nere e di una complessa articolazione di ambienti. All’interno di questo complesso è stato scoperto un vano semi-ipogeo che ha subito attirato l’attenzione degli archeologi per le sue particolarità strutturali. Si tratta di un piccolo ambiente rettangolare, chiuso sul lato est da un’abside semicircolare e caratterizzato da diverse fasi edilizie. L’ultima fase, databile tra il IV e il VI secolo d.C., mostra un accesso dal lato occidentale tramite una soglia in marmo, oltre la quale si apre una scala composta da tre gradini. Le spallette laterali e le pareti interne sono rivestite da un intonaco idraulico di ottima qualità, segno evidente della necessità di rendere l’ambiente impermeabile. Al termine della scala si trova un pavimento realizzato in mattoni bipedali, posto a circa un metro di profondità rispetto al livello di ingresso. Un incasso continua lungo il pavimento e sulle pareti laterali, forse destinato a ospitare una transenna lignea che chiudeva parzialmente l’ambiente. Un altro elemento fondamentale è la presenza di un pozzo circolare, costruito in cementizio e coronato da una ghiera in mattoni, destinato a captare l’acqua di falda. Il pozzo si restringe a una profondità di circa un metro, con una risega utile a posizionare una griglia o una copertura mobile. Vi è anche un foro nella muratura, probabilmente collegato a un sistema di adduzione d’acqua piovana, utile a integrare quella di falda. La nicchia presente sull’abside, decorata con conchiglie e intonaco azzurro, potrebbe aver avuto una funzione devozionale. Lo scavo dell’ambiente e del pozzo ha restituito reperti che confermano inequivocabilmente la natura ebraica del sito. Tra questi, due lucerne decorate con una menorah (il candelabro a sette bracci), una delle quali raffigurante anche un lulav, simbolo delle feste di Sukkot, e un bicchiere in vetro praticamente integro. I reperti sono databili tra il IV e il VI secolo d.C. Le caratteristiche dell’ambiente, la sua configurazione e i reperti recuperati permettono di identificarlo con sicurezza come un mikveh. I mikva’ot conosciuti nell’area della Palestina romana e bizantina risalgono già all’età asmonea (II-I secolo a.C.) e sono diffusi soprattutto in Giudea, Galilea e Idumea. Tuttavia, esempi al di fuori della Terra d’Israele sono rarissimi per l’età romana e tardo-antica. Il mikveh di Ostia rappresenta quindi il primo rinvenimento documentato di questo tipo nella diaspora occidentale. La sua scoperta contribuisce in modo decisivo alla comprensione della presenza ebraica a Ostia, già nota grazie alla sinagoga individuata nel 1961 lungo la via Severiana, considerata la più antica del Mediterraneo occidentale. Ora, il mikveh completa un quadro che dimostra la vitalità e l’organizzazione della comunità ebraica nella colonia portuale di Roma. Non si trattava solo di un insediamento commerciale, ma di una comunità capace di conservare le proprie tradizioni religiose e rituali in un contesto cosmopolita. Dal punto di vista metodologico, l’indagine si è avvalsa di un approccio rigoroso e interdisciplinare. Il supporto dell’Associazione Archeologia Subacquea Speleologia Organizzazione (A.S.S.O.) è stato fondamentale per l’esplorazione del pozzo, mentre le analisi archeometriche hanno permesso di chiarire la cronologia delle fasi edilizie e dei reperti. Il mikveh di Ostia Antica è un ritrovamento che amplia la nostra conoscenza della diaspora ebraica nell’Impero romano. Testimonia una comunità radicata, osservante, che ha mantenuto un legame forte con le proprie tradizioni pur vivendo lontano dalla Terra d’Israele. In un porto come Ostia, crocevia di popoli, lingue e religioni, questa presenza si innesta perfettamente nel mosaico culturale che caratterizzava la città. Questa scoperta, frutto di una rinnovata attività di ricerca del Parco Archeologico di Ostia Antica e dei suoi partner scientifici, rappresenta un tassello prezioso nella ricostruzione della storia religiosa e sociale della Roma imperiale. Un mikveh rimasto silente per secoli, che oggi torna a parlare e a raccontare la storia di una fede e di una comunità. Photocredit Ministero della Cutura