Parma, Teatro Regio: “Il barbiere di Siviglia”

Parma, Teatro Regio, Stagione Lirica 2025
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Dramma comico in due atti  su libretto di Cesare Sterbini dalla commedia “Le barbier de Séville” di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Musica di Gioachino Rossini
Il Conte d’Almaviva RUZIL GATIN
Don Bartolo CARLO LEPORE
Rosina MARIA KATAEVA
Figaro MATTEO MANCINI
Don Basilio GRIGORY SHKARUPA
Berta LICIA PIERMATTEO*
Fiorello/Un Ufficiale GIANLUCA FAILLA
Ambrogio ARMANDO DE CECCON
*Già allieva dell’Accademia Verdiana
Orchestra Senzaspine
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore George Petrou
Maestro del Coro Martino Faggiani
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Luci Andrea Borelli da un’idea di Massimo Gasparon
Allestimento Rossini Opera Festival, Teatro Regio di Parma
Parma, 9 marzo 2025
È bello vedere uno spettacolo riuscito: ma ancor più bello è vederlo vivere di vita propria.
Ironia della sorte: Pier Luigi Pizzi, fra i padri nobili della cosiddetta Rossini Renaissance, arriva al Barbiere solo nel 2018, sulla soglia quasi dei novant’anni. Ma lo scruta con l’occhio analitico del regista di prosa, e lo lucida con un rigore novecentesco ch’è parente strettissimo del razionalismo settecentesco. Scrostandolo quindi di tutto un repertorio di gags, trovate e trovatine impastate di gigionismo (Gigione è il cantante vanaglorioso nella caricatura del mitico Ferravilla) che in gergo si chiamano “caccole”. Il suo Barbiere brilla allora di una luce nuova: è agile nella sua integralità, guizzante, elastico, energico. E soffuso di uno humor dotto, finissimo e pungente, intelligente eppure (sembra un paradosso) perfettamente contemporaneo. È uno spettacolo di quelli che fanno epoca, che formano generazioni di cantanti: e così è destino che di sera in sera alcune cose cambino. Ma l’impianto registico ha in sé una tale versatilità, che pur nelle inevitabili modifiche, necessarie per adattarsi ai diversi interpreti (pizziana la definizione di “teatro sartoriale”), resta intatto e ben riconoscibile. In questa seconda ripresa parmense la differenza la più vistosa è nel finale, cui manca la grande scena di Almaviva, interpretato da Ruzil Gatin. Timbro asciuttissimo e non particolarmente grato, ha però dalla sua un’ottima proiezione del suono, ch’è limpido, squillante, saettante, benché poco corposo. Matteo Mancini è un Figaro giovane e giovanile, dal timbro morbido e luminoso, piuttosto chiaro e facile all’acuto. Grigory Shkarupa ha buona voce, seppur con qualche asperità: quel che si potrebbe desiderare in più da un Basilio è una presenza scenica soggiogante, una verve sottile di cui non pare naturalmente, istintivamente provvisto. Né l’aiuta granché l’appena accennata balbuzie già di Pertusi a Pesaro e di Tagliavini a Parma: e di cui pare ricordarsi soltanto a tratti. E che fa il paio con la “r” moscia di Bartolo: geniale invenzione di Pietro Spagnoli per far il verso a Pizzi durante le prove, che poi lo punì mantenendola in spettacolo. Come già fatto da Marco Filippo Romano qui a Parma lo scorso anno, Carlo Lepore raccoglie magistralmente il testimone, e inserisce il suo Bartolo, vocalmente sontuoso, nella logica di questa regia (già nella ripresa pesarese della scorsa estate) con una tale disinvoltura scenica da renderlo irresistibile. Anche quando non canti: mentre osserva terrorizzato Basilio prendersela con la fetta di salame, mentre ondeggia assonnato durante la lezione di musica di Don Alonso. Dall’anno scorso ritroviamo, in testa, Maria Kataeva, grintosa e frizzante Rosina: dal registro grave timbratissimo, morbido, rotondo, alle sciolte agilità, allo charme scenico. Poi la Berta squillante e luminosa di Licia Piermatteo, che trova il suo Ambrogio in Armando De Ceccon. Nei ruoli di Fiorello prima, Ufficiale poi e infine violoncellista accanto al secondo travestimento di Almaviva, c’è sempre il solido e sonoro Gianluca Failla, che li eredita da William Corrò. Il Coro è quello del Teatro Regio di Parma diretto da Martino Faggiani, mentre l’Orchestra è la Senzaspine: che dà una buona prova sotto la direzione eccentrica di George Petru, appassionatissima e genericamente eccitata, che si sforza lodevolmente di mettere in luce dettagli dell’orchestrazione rossiniana spesso smussati da uno stile esecutivo più romantico. Insomma il Barbiere “pizzesco” colpisce ancora, e c’è da augurarsi che continui ad esser ripreso fino a diventare un riferimento come lo è stato (e lo è?), quello di Ponnelle.