Ravenna, Teatro Alighieri: “La Vestale”

Ravenna, Teatro Alighieri, Stagione d’Opera e Danza 2025
LA VESTALE”
Tragédie-lyrique in tre atti su libretto di Victor-Joseph-Étienne de Jouy
Musica di 
Gaspare Spontini
Julia CARMELA REMIGIO
Licinius BRUNO TADDIA
Cinna JOSEPH DAHDAH
La Grande Vestale LUCREZIA VENTURIELLO
Le Souveran Pontife ADRIANO GRAMIGNI
Le chef des aruspices, Un consul MASSIMO PAGANO
Orchestra La Corelli
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore Alessandro Benigni
Maestro del coro Corrado Casati
Regia, Scene e Costumi Gianluca Falaschi
Coreografie Luca Silvestrini
Luci Emanuele Agliati
Nuovo allestimento della Fondazione Pergolesi-Spontini in coproduzione con Teatro Alighieri di Ravenna, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Verdi di Pisa
Ravenna, 02 marzo 2025
La vestale“ di Spontini recentemente andata in scena al Teatro Alighieri di Ravenna è una produzione dai risultati alquanto alterni. Prevede, infatti, una rilettura sul piano estetico piuttosto radicale, che vuole essere un omaggio a Maria Callas (che con quest’opera iniziò il sodalizio con Visconti) e al mondo delle grandi dive degli anni 50: per fare questo si utilizza un estratto di un’intervista alla Callas come introduzione alla recita e una serie di riprese cinematografiche piuttosto affascinanti che coinvolgono la protagonista Carmela Remigio in momenti di tormento di varia natura (a teatro, nella sua camera da letto, in una vasca da bagno); inoltre la pregevole eleganza dei costumi richiama chiaramente quel periodo, con uomini in frac e donne in ampi abiti da sera di satin scuro, scolli e  ardite capigliature raccolte con tiare ecc.; la scena, invece, è tutta marmorizzata e delimitata da ambi tendaggi di mussola bianca, che alzandosi ed abbassandosi delimitano spazi scenici più ampi o più intimi – nulla di trascendentale, ma ben funzionali alla vicenda. La regia di Gianluca Falaschi (storico costumista di Davide Livermore e Arturo Cirillo, e per questo curatore anche qui pure di scene e costumi) vuole essere tutta un bianco e nero, proprio per richiamare le illustrazioni e le pellicole di quei tempi, e riesce a dare comunque una certa dinamicità a questa bidimensionalità cromatica; tuttavia, per quanto riguarda la drammaturgia, la gestione di personaggi, la semplice recitazione, questa regia latita, non si vede, forse non vuole esserci, non importa: i cantanti sono spesso ammassati stipati nel piccolo proscenio e si producono come in un concerto, salvo individuali velleità istrioniche, che ovviamente si manifestano con dimenare di braccia, dita indicatrici, pestare di piedi nervosi e addirittura qualche urletto qua e là – in poche parole, uno spettacolo tristemente monotono, incapace di dirci qualcosa di nuovo (e questo, con la messa in scena di un’opera rara, è veramente il paradosso). È un vero peccato, perché le rare volte che gli interpreti riescono a trovare autonomamente la giusta intesa (come ad esempio quelle tra Giulia e la Gran Vestale), assistiamo a scene di grande impatto estetico ed emotivo, ma è evidente che gli sforzi della produzione si siano orientati al contenitore di questa messa in scena, più che alla sostanza del contenuto. Anche sul piano musicale l’andamento è alterno: Il direttore d’orchestra Alessandro Benigni, capace di resuscitare la partitura spontiniana con grande carattere e precisa attenzione alla resa degli stati emotivi che reggono la vicenda. Nel cast  emerge Lucrezia Venturiello, una Gran Vestale empatica e sofferta, quanto vocalmente consapevole dell’ampia estensione e della forza proiettiva del suo mezzo – il fraseggio è ben curato, la linea di canto omogeneamente ben caratterizzata. Purtroppo non possiamo dimostrarci altrettanto entusiasti della Julia di Carmela Remigio, che sicuramente compensa con il grande coinvolgimento scenico, da autentica attrice drammatica, la stanchezza vocale evidente, dall’emissione e la linea di canto spesso in affanno. Non convince nemmeno il Licinius di  Bruno Taddia che appare vocalmente poco a fuoco, con un fraseggio generico mentre sul piano scenico Taddia all’opposto è sopra le righe, preso da gesticolazioni e mimiche livorose ed eccessive persino sul finale amoroso con Giulia. Prova positiva per Joseph Dahdah che affronta il ruolo di Cinna con una equilibrata presenza scenica e un mezzo vocale ben controllato – è un tenore di bello squillo, dal fraseggio espressivo. Basso dai bellissimi colori bruniti e dal porgere nobile è, inoltre, Adriano Gramigni, nel ruolo del Souveran Pontife. Infine due note di merito al Coro del Teatro Municipale di Piacenza (bene istruito dal maestro Corrado Casati), che si è dimostrato sempre sul pezzo, e a Luca Silvestrini per le coreografie che a tratti sembravano riprendere gli affreschi del ridotto del Teatro Alighieri, ponendo almeno quelle scene in comunicazione col contesto. Foto Stefano Binci