Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Benvenuti in casa Esposito”

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
BENVENUTI IN CASA ESPOSITO
con Giovanni Esposito, Nunzia Schiano, Susy Del Giudice, Salvatore Misticone, Gennaro Silvestro, Carmen Pommella, Giampiero Schiano , Aurora Benitozzi

Regia Alessandro Siani
Commedia in due atti scritta da Paolo Caiazzo, Pino Imperatore, Alessandro Siani
Liberamente tratta dal romanzo bestseller “Benvenuti in casa Esposito”
di Pino Imperatore (Giunti Editore)
Musiche Andrea Sannino
Direzione musicale e arrangiamenti Mauro Spenillo

Scene Roberto Crea
Costumi Lisa Casillo

Roma, 05 marzo 2025
A volte, il teatro sa trasformare il grottesco in un’amara elegia della mediocrità, e Benvenuti in Casa Esposito, in scena all’Ambra Jovinelli, si muove proprio su questo crinale sottile, tra la farsa e il dramma, tra il riso e una sottesa inquietudine. La trasposizione teatrale del romanzo di Pino Imperatore, curata da Paolo Caiazzo e Alessandro Siani, si fa specchio di una Napoli contraddittoria, dove l’ombra della camorra non è soltanto una realtà tangibile, ma anche un retaggio culturale da cui è difficile emanciparsi. Tonino Esposito, il protagonista, è l’ennesima incarnazione di una maschera tragicomica: figlio di un boss, incapace di raccoglierne l’eredità criminale, si dibatte in un’esistenza fatta di aspirazioni mal riposte e goffi tentativi di emulazione. Giovanni Esposito gli conferisce un’umanità disarmante, riuscendo a cogliere quel misto di stoltezza e malinconia che definisce il personaggio. Accanto a lui, un cast di spessore amplifica la narrazione con grande efficacia: Nunzia Schiano, Susy Del Giudice, Salvatore Misticone, Gennaro Silvestro, Carmen Pommella, Giampiero Schiano e la giovane Aurora Benitozzi offrono interpretazioni solide e perfettamente amalgamate, ciascuno donando sfumature diverse alla coralità della messa in scena. L’idea di suddividere lo spettacolo in capitoli, ricalcando la struttura del libro, è un espediente efficace che restituisce il senso di un racconto popolare, quasi da cantastorie. La messinscena è calibrata con misura: le scenografie, curate da Roberto Crea, si trasformano con fluidità, suggerendo senza invadenza gli spazi mutevoli del racconto, mentre i supporti multimediali, impiegati con saggezza, evitano la facile deriva dell’effetto speciale fine a sé stesso. Il palco diventa così una tela cangiante, che accoglie la vicenda con un senso di dinamismo continuo, perfettamente in linea con il ritmo narrativo dello spettacolo. Un altro elemento che contribuisce alla riuscita estetica dello spettacolo è il lavoro sui costumi firmati da Lisa Casillo. La caratterizzazione visiva dei personaggi gioca un ruolo chiave nell’accentuare il loro status sociale, il loro radicamento in un contesto urbano definito e il sottotesto ironico della messa in scena. Ogni scelta cromatica e stilistica contribuisce a delineare il microcosmo in cui si muove Tonino Esposito, rendendolo ancora più credibile e incisivo nella sua goffa tragicomicità. Ciò che distingue Benvenuti in Casa Esposito da una semplice commedia è il sottotesto: l’umorismo partenopeo, che nel teatro di Eduardo e nei film di Totò ha sempre affondato le radici nel reale, qui si tinge di una consapevolezza più cupa. Il crimine, nella sua quotidianità quasi banale, diventa una trappola esistenziale più che una scelta consapevole. L’apparizione del fantasama di un ufficiale spagnolo, figura eterea di una coscienza assente, è il segnale che la risata non è mai davvero liberatoria, ma sempre intrisa di un’ironia che lascia il segno. L’intreccio segue fedelmente le vicende del romanzo di Imperatore: Tonino Esposito, erede designato di una figura paterna ingombrante, cerca invano di farsi largo nel sottobosco della criminalità napoletana, ma la sua natura ingenua e impacciata lo porta a collezionare fallimenti uno dopo l’altro. Il capoclan Pietro De Luca, detto ‘o Tarramoto, che ha preso il posto del padre, non ha nessuna intenzione di lasciare spazio a un incompetente, e lo scontro tra i due diventa il fulcro di un gioco tragicomico in cui il protagonista si muove come un burattino fuori tempo. La sua goffaggine lo condanna a essere vittima delle circostanze, ma è proprio in questo suo arrancare senza possibilità di riscatto che emerge il lato più amaro della storia: Tonino non è un eroe, né un vero criminale, ma un uomo alla deriva in un sistema che non concede alternative. Se da un lato la scrittura sa dosare battute efficaci e trovate sceniche ben congegnate, dall’altro la messa in scena accusa, almeno nelle fasi iniziali, una certa esitazione. Il ritmo impiega del tempo per assestarsi, forse complice la necessità di rodare gli ingranaggi di un meccanismo narrativo che alterna registri differenti. Tuttavia, una volta raggiunto l’equilibrio, lo spettacolo si dispiega con un’energia crescente, guadagnando progressivamente in compattezza. Il pubblico si trova così immerso in una girandola di situazioni paradossali che ricordano la comicità del cinema neorealista italiano, capace di far ridere e, al tempo stesso, di insinuare il germe di una riflessione più profonda. La Napoli che emerge da questa rappresentazione non è solo il palcoscenico delle vicende di Tonino, ma un personaggio a tutti gli effetti. Il rione Sanità, quartiere dalla storia complessa e stratificata, si fa metafora di una città che vive costantemente in bilico tra luce e ombra, tra speranza e disillusione. Non è un caso che proprio in questo contesto nascano personaggi come Totò, il cui retaggio aleggia implicitamente sullo spettacolo, come a voler ricordare che la grande comicità napoletana è sempre stata capace di raccontare il dolore con un sorriso amaro. Alla fine, Benvenuti in Casa Esposito è uno spettacolo che diverte senza mai cadere nella superficialità. Nel riso si annida sempre un retrogusto amaro, e in questa risata sospesa tra la leggerezza e la disillusione sta tutta la sua forza. Non è solo una commedia ben congegnata, ma un ritratto che, dietro la maschera dell’umorismo, porta con sé una nota di malinconia impossibile da ignorare. Un’operazione teatrale che, nel suo alternare registri e nel suo oscillare tra farsa e riflessione, si rivela un piccolo gioiello di intelligenza scenica e sensibilità narrativa. Forse, al di là dell’umorismo, ciò che resta davvero è il senso di una battaglia persa in partenza, il destino di un uomo che si affanna a recitare un ruolo che non gli appartiene. E in questa amara consapevolezza, paradossalmente, risiede tutta la potenza dello spettacolo.