Roma, Teatro Argentina: “November”

Roma, Teatro Argentina
NOVEMBER
di David Mamet
regia Chiara Noschese
con Luca Barbareschi, Chiara Noschese, Simone Colombari, Nico Di Crescenzo, Brian Boccuni
scene Lele Moreschi

produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Cucuncia Entertainment s.r.l.
Roma, 04 marzo 2025
In un tempo in cui la politica si confonde con l’intrattenimento e la realtà supera la più spietata delle satire, November di David Mamet diventa uno specchio impietoso di un potere che si dibatte nel proprio pantano. Il Teatro Argentina accoglie questa macchina teatrale dal ritmo serrato, capace di trasformare il cinismo in risata e la risata in un brivido d’inquietudine.  Luca Barbareschi, nel ruolo di Charles Smith, presidente in caduta libera nei sondaggi e privo di ogni residuo di scrupolo, incarna un personaggio che sfugge alla caricatura per farsi espressione perfetta di un sistema allo sbando. Con parole appuntite come pugnali, Smith si muove nel chiuso del suo ufficio presidenziale, tentando disperatamente di ribaltare il destino con una serie di mosse tanto spregiudicate quanto tragicomiche. Mamet, maestro nella costruzione del dialogo, mette in scena un serrato gioco di manipolazioni, contrattazioni e colpi bassi, con un lessico politico che suona ormai più vicino alla truffa che alla democrazia. Il suo linguaggio è asciutto, essenziale, a tratti brutale, fatto di frasi spezzate e interruzioni, un contrappunto continuo tra ciò che si dice e ciò che si intende davvero. Il ritmo è martellante, come un ring verbale in cui nessuno arretra, e lo spettatore è trascinato in un vortice di battute e ribaltamenti che scandiscono la caduta libera del protagonista. L’allestimento è essenziale eppure potentissimo. Le scene di Lele Moreschi disegnano un campo di battaglia verbale: una stanza blindata, dove la politica si trasforma in un ring e ogni scambio è un colpo sferrato per sopravvivere. L’apparente staticità degli ambienti esalta il dinamismo febbrile dei personaggi, avviluppati in un turbine di battute e mosse strategiche. Il grottesco si insinua nel realismo, amplificando il paradosso di una realtà che non ha più bisogno di essere deformata per risultare assurda. Ogni elemento scenico contribuisce a rafforzare la tensione: lo spazio chiuso diventa metafora di un sistema politico prigioniero di se stesso, senza vie di fuga. Il simbolismo si annida nei dettagli: l’opulenza decadente del mobilio suggerisce un potere in declino, la disposizione degli arredi tradisce un ordine solo apparente, dietro cui si cela il caos. Barbareschi guida un cast di grande solidità, in cui Chiara Noschese emerge con un’interpretazione di raffinata precisione. Il suo personaggio, spietato e lucido, attraversa la scena con una consapevolezza che stride con la cieca ambizione del protagonista, in un gioco di specchi che esalta l’equilibrio precario tra potere e disillusione. La sua recitazione è un misto di ironia tagliente e controllo emotivo, una performance che si insinua sotto pelle con la stessa ambiguità con cui il testo di Mamet descrive il potere. Accanto a loro, Simone Colombari, Nico Di Crescenzo e Brian Boccuni contribuiscono a costruire un microcosmo di figure satiriche, incarnazioni perfette di un sistema in cui ogni ruolo è parte di un meccanismo inarrestabile. I loro personaggi, pur nella loro apparente marginalità, sono indispensabili ingranaggi di questa macchina teatrale, e ciascuno porta con sé un tassello del disastro politico che si consuma sulla scena. La regia, attenta a mantenere il ritmo senza lasciar scivolare lo spettacolo nella sola comicità, lavora sulla precisione del testo e sulla fisicità degli attori. Il risultato è una macchina scenica che incalza lo spettatore, portandolo a ridere con amarezza, consapevole che dietro la farsa si cela il ritratto impietoso di una politica che si alimenta del proprio fallimento. È un meccanismo teatrale perfetto, che dosa con precisione i tempi comici e quelli più riflessivi, senza mai perdere il filo della tensione narrativa. La direzione degli attori è calibrata con attenzione: nessun personaggio è solo una macchietta, ogni ruolo è costruito con spessore e credibilità, rendendo il gioco scenico ancora più efficace. Mamet, con November, non ci offre alcuna via di fuga: il teatro si fa specchio di un potere che si sgretola tra affarismo, corruzione e improvvisazione, lasciandoci con una risata che ha il sapore della sconfitta. Lo spettacolo, perfettamente orchestrato, è un esempio di satira che non consola, ma che, come ogni grande commedia, sa graffiare con ferocia il cuore del presente. La sua forza sta proprio nella capacità di tenere insieme leggerezza e ferocia, di farci ridere mentre ci mostra il vuoto dietro le maschere del potere. Il messaggio è chiaro: la politica è ormai un grande spettacolo, un gioco senza regole in cui l’unica cosa che conta è restare sulla scena il più a lungo possibile. Alla fine, lo spettatore esce dal teatro con una sensazione ambigua: ha riso, certo, ma quel riso ha lasciato un retrogusto amaro. Perché November non è solo una commedia sulla politica: è una riflessione sul nostro tempo, su un mondo in cui il potere non è più una questione di idee o di valori, ma solo di strategie e di sopravvivenza. Mamet ci dice che non c’è più spazio per l’idealismo, che la politica è ormai solo una questione di tattica, di mosse ben calcolate in un gioco cinico e senza scrupoli. E noi, seduti in platea, non possiamo fare altro che riconoscerci in questo specchio deformante, mentre ridiamo con un senso di inquietudine sempre più profondo. Photocredit Federica Di Benedetto