Roma, Teatro Brancaccio: “I Tre Moschettieri- Opera Pop”

Roma, Teatro Brancaccio
I TRE MOSCHETTIERI: OPERA POP
con Vittorio Matteucci, Giò di Tonno, Graziano Galatone
e con:

Sea John – D’Artagnan
Leonardo Di Minno – Rochefort
Cristian Mini – Richelieu
Camilla Rinaldi – Milady
Beatrice Blaskovic – Costanza
Roberto Rossetti – Dumas
Gabriele Beddoni – Planchet
Performers: i ragazzi della Peparini Academy Special Class
coreografie Veronica Peparini e Andreas Muller
testi Alessandro Di Zio
musiche Giò Di Tonno
orchestrazioni Giancarlo Di Maria

produzione STEFANO FRANCIONI PRODUZIONI E TEATRO STABILE D’ABRUZZO
organizzazione VENTIDIECI
Direzione artistica e regia Giuliano Peparini
Roma, 07 marzo 2025
Se c’è una cosa che il teatro musicale ci ha insegnato è che trasformare un classico letterario in un’opera pop non è mai un’impresa semplice. C’è chi ci riesce con un’intuizione geniale, chi con una partitura capace di restituire il peso drammatico della narrazione e chi, invece, si affida alla magniloquenza visiva per colmare le lacune strutturali. I Tre Moschettieri – Opera Pop, produzione di Stefano Francioni e del Teatro Stabile d’Abruzzo, si colloca in questo solco con un’estetica imponente, una regia spettacolare e una partitura che, pur volenterosa, procede a strappi, senza mai decollare del tutto. L’idea di Giuliano Peparini di far partire la vicenda da una fabbrica di scatoloni, dove il ritrovamento di un libro innesca la magia della narrazione, ha il sapore del déjà vu: un espediente narrativo che strizza l’occhio al teatro metatestuale, ma che nella pratica si traduce in un preambolo didascalico che spezza l’ingresso nell’azione. Roberto Rossetti nei panni di Dumas è carismatico e si fa garante della narrazione, ma la sua funzione rimane accessoria, un collante che risolve più che arricchire. Dal punto di vista musicale, Giò Di Tonno si cimenta in un’operazione ambiziosa, con una scrittura che tenta la fusione tra musical popolare e partitura sinfonico-drammatica, senza tuttavia raggiungere una sintesi convincente. Le orchestrazioni si affidano a progressioni armoniche consolidate e a un uso reiterato di climax sonori che, invece di intensificare la tensione, finiscono per appiattirla. L’assenza di numeri realmente memorabili è il vero tallone d’Achille della partitura: i brani funzionano come raccordi tra le scene, ma non emergono con quella forza tematica che avrebbe reso lo spettacolo un’opera compiuta. I tre protagonisti, pur sostenuti da un’ottima presenza scenica, non trovano nella scrittura musicale una reale caratterizzazione individuale: Di Tonno, Matteucci e Galatone giocano sul carisma vocale e sul mestiere, ma la musica non conferisce loro una tridimensionalità emotiva. L’apparato scenografico è di grande effetto, con un uso esteso di proiezioni e strutture mobili che suggeriscono una Parigi evocata più che ricostruita. Peparini, come sempre, padroneggia il linguaggio del grande affresco teatrale, ma l’alternanza di chiaroscuri e bui scenici, anziché sottolineare il dramma, talvolta ne smorza il ritmo. Il corpo di ballo, diretto da Veronica Peparini e Andreas Müller, si conferma elemento portante dello spettacolo, fungendo da contrappunto dinamico alla narrazione. La coreografia, per quanto tecnicamente ineccepibile, si inserisce nella narrazione con una funzione più illustrativa che drammaturgica. Sul versante interpretativo, Sea John si distingue per una presenza scenica assertiva e una consapevole gestione della prossemica teatrale. Il suo D’Artagnan è vibrante e impetuoso, ma l’impianto registico lo vincola a una certa staticità, privandolo di un autentico slancio drammaturgico. Vocalmente, la sua linea di canto si mantiene limpida e ben sostenuta, con un sapiente controllo del registro medio-alto. Tuttavia, l’assenza di un Leitmotiv identificativo per il protagonista ne compromette la definizione musicale, lasciando il personaggio in una dimensione espressiva meno incisiva di quanto la partitura avrebbe potuto permettere. Beatrice Blaskovic offre una Costanza di grande eleganza, con una vocalità morbida e una tenuta scenica di classe, mentre Camilla Rinaldi riesce a dare a Milady una sfumatura interessante tra crudeltà e sensualità. La sua interpretazione è ricca di dettagli espressivi, con un controllo della dinamica vocale che si fa notare nei momenti più lirici. Cristian Mini tratteggia un Richelieu essenziale, senza concessioni a eccessi caricaturali, con un’intonazione precisa e una recitazione misurata. Leonardo Di Minno, nei panni di Rochefort, è un antagonista pungente e ben calibrato, con un fraseggio scattante e un uso efficace della dizione teatrale. Gabriele Beddoni si distingue per la poliedricità: la sua capacità di passare da un ruolo all’altro con naturalezza e il suo controllo fisico impeccabile ne fanno un elemento prezioso della compagnia. Luca Callà, nel ruolo di Luigi XIII, utilizza con intelligenza la gestualità scenica, offrendo un’interpretazione che, pur senza battute di rilievo, comunica l’ambiguità del personaggio con estrema precisione. Nel complesso, I Tre Moschettieri – Opera Pop è uno spettacolo che affascina per la potenza visiva e per la solidità del cast, ma che manca dell’elemento imprescindibile di ogni grande musical: una scrittura musicale che dia identità ai personaggi e ne scandisca l’evoluzione. Il lavoro di Peparini è efficace nella resa spettacolare, ma il rischio è quello di restare prigionieri di un’estetica che sovrasta il racconto, invece di sostenerlo. Un’operazione ambiziosa, che merita di essere vista, ma che avrebbe beneficiato di una maggiore coesione tra linguaggio scenico e musicale. E dopotutto, quando i moschettieri incrociano le spade, il pubblico non può che esultare – anche se qualche nota si perde lungo la strada.