Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
SIOR TODERO BRONTOLON
di Carlo Goldoni
drammaturgia Piermario Vescovo
Con Franco Branciaroli
e con Piergiorgio Fasolo, Alessandro Albertin, Maria Grazia Plos, Ester Galazzi, Riccardo Maranzana, Valentina Violo, Emanuele Fortunati, Andrea Germani, Roberta Colacino
in collaborazione con i Piccoli di Podrecca
scene Marta Crisolini Malatesta
costumi Stefano Nicolao
musiche Antonio Di Pofi
luci Gigi Saccomandi
movimenti di scena Monica Codena
regia Paolo Valerio
Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro de gli Incamminati, Centro Teatrale Bresciano
Roma, 18 marzo 2025
C’è, nelle pagine della maturità goldoniana, quella medesima affilata coscienza della realtà sociale che il commediografo aveva già esercitato nella cronaca civile e morale della sua Venezia. Ma in Sior Todero Brontolon la sagacia dell’autore si concentra in una figura, quella dell’ostinato patriarca, che da privata diventa universale: il vecchio che brontola, che si oppone il proprio rugginoso buon senso all’incalzare dei tempi nuovi, non è che la maschera terminale di un’epoca che si ritrae dinanzi all’ineluttabile. La regia di Paolo Valerio, ispirandosi con misura e invenzione al teatro di figura, restituisce con accenti felicemente stranianti questa dialettica tra l’immobile e il mutevole, tra il burattinaio e la vita che sfugge di mano. Lo spettacolo si apre in un’atmosfera sospesa, dove la materia del teatro – corde, bastoni, pupazzi smembrati – giace come relitto di una tradizione in frantumi. La scena concepita da Marta Crisolini Malatesta, vera “macchina” che allude e costruisce, accoglie il pubblico nel retropalco di un teatrino di marionette, alludendo con grazia e finezza al teatro stesso come arte manipolatoria. Qui siede, o meglio impera, Sior Todero, un Franco Branciaroli che non si limita a vestire i panni dell’arcigno vecchio veneziano, ma lo sublima a figura mitica, marionettista egli stesso, che tira i fili delle esistenze con la presunzione di chi si crede onnipotente.
La recitazione di Branciaroli si affina in ogni cadenza. L’attore padroneggia l’arte della variazione tonale, dall’imperioso comando al sarcasmo sferzante, dall’avarizia di gesti all’esplosione incontrollata del lamento: e ciò in un fraseggio che ha l’elasticità e il colore della parlata veneziana, senza mai cadere in compiaciute caricature. È questo uno dei meriti maggiori della compagnia diretta da Valerio: aver mantenuto, sotto il velo di un’arguta ironia, la verità profonda dei caratteri, che in Goldoni non sono mai semplici maschere, ma persone vive, afferrate nella loro tragica comicità. Maria Grazia Plos offre una Marcolina che ricorda le più nobili eroine goldoniane: energica senza scompostezza, accorta senza astuzia meschina, rappresenta quella forza silenziosa e tenace della femminilità che, nell’universo dell’autore veneziano, è il vero motore del mutamento sociale. La Plos ne dà un ritratto di limpida autenticità, dominando la scena con la sicurezza di chi sa difendere una causa giusta, quella della libertà e della felicità degli affetti.
Accanto a lei, Piergiorgio Fasolo delinea un Pellegrin che è figura di disarmante debolezza e, proprio per questo, autentico: il figlio imbelle, incapace di opporsi all’autorità paterna se non con fughe velleitarie e piagnucolose, diventa emblema di quella generazione prigioniera dell’arbitrio dei padri e ancora timorosa di affermare la propria autonomia. Il disegno complessivo della regia trova un perfetto contrappunto negli altri interpretati. Ester Galazzi presta alla Siora Fortunata una maliziosa determinazione, mentre Emanuele Fortunati, nel Meneghetto, incarna la schiettezza del giovane che sa usare la ragione e la cortesia per contrastare l’arroganza. Degno di nota anche Riccardo Maranzana, un Desiderio che nella sua servile avidità ha tratti di sorprendente modernità, e Andrea Germani, che fa del Nicoletto uno svampito delizioso, quasi un Pulcinella addolcito, la cui voce in falsetto ei passi incerti svelano la precarietà di un mondo in decadenza.
Le luci di Gigi Saccomandi, tutte sfumate e avvolgenti, contribuiscono a quella qualità onirica che sospende la commedia in un tempo fuori dal tempo, mentre i costumi di Stefano Nicolao si adagiano su toni pastello, evocando la fragilità di una Venezia che scivola verso la malinconia della fine. La musica di Antonio Di Pofi ed i movimenti di Monica Codena rendono, infine, più fluido e incantato il passaggio tra il gioco delle marionette e il dramma degli uomini. Il regista, che con questo allestimento riprende un’intuizione cara al Goldoni dei Mémoires , trasforma il teatro in un laboratorio di riflessione sulla manipolazione dei rapporti umani. Le marionette dei Piccoli di Podrecca, sapientemente animate dagli stessi attori, diventano il doppio simbolico dei personaggi: privi di volontà propria, essi si agitano in una danza grottesca che riflette l’immobilismo di un mondo che ancora crede nei fili invisibili del potere patriarcale. Eppure, se la marionetta è prigioniera del burattinaio, l’uomo può liberarsi.
È questo il cuore della commedia goldoniana e il messaggio che Paolo Valerio restituisce con finezza: Marcolina ed i giovani vincono non perché rompono i fili, ma perché imparano a governarli secondo una nuova etica della responsabilità e dell’amore. Il “brontolon” può essere vinto solo con l’intelligenza paziente e la generosità che Goldoni affidava alle sue figure femminili. Nel finale, quando Todero si piega all’evidenza della propria sconfitta, la commedia trova una conclusione non tanto lieta quanto necessaria: il vecchio si arrende non per conversazioni, ma per calcolo, mostrando che il cambiamento non è mai un moto dell’anima, ma un atto imposto dal tempo che scorre. Così, nella malinconia che avvolge l’ultima scena, si coglie quella verità profonda che rende Sior Todero Brontolon non soltanto una commedia divertente, ma un amaro apologo sulla decadenza dei poteri inetti e sull’avvento di un’epoca nuova. Applausi sinceri e convinti accolgono la compagnia, la cui prova, di equilibrio notevole e maturità ci ricorda che, nel teatro di Goldoni, si ride della miseria degli uomini non per scherno, ma per amore di verità. Photocredit Simone Di Luca
Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Sior Todaro Brontolon”
