Roma, Teatro Vascello: “Edipo Re”

Roma, Teatro Vascello
EDIPO RE
di Sofocle
traduzione Fabrizio Sinisi
adattamento e regia Andrea De Rosa
con (in o.a.) Francesca Cutolo, Francesca Della Monica, Marco Foschi, Roberto Latini, Frédérique Loliée, Fabio Pasquini

scene Daniele Spanò
luci Pasquale Mari
suono G.U.P. Alcaro
costumi Graziella Pepe
assistenti alla regia Paolo Costantini, Andrea Lucchetta
costumi realizzati presso il Laboratorio di Sartoria Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura, Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
Roma, 06 marzo 2025
“Sventurato, non chiamarmi da parte: io non sono tuo figlio, ma figlio del fato.”
Sofocle

Da questa citazione prende avvio il percorso interpretativo di Andrea De Rosa, il quale penetra nelle pieghe dell’Edipo Re con un approccio che, pur rispettando il canone sofocleo, ne amplifica le tensioni esistenziali e le implicazioni universali. Rappresentata al Teatro Vascello di Roma, la messinscena del regista configura un rito scenico che esalta la dialettica fra luce e oscurità, fra l’indagine razionale e la vertigine dell’inconoscibile. L’impianto visivo, curato da Daniele Spanò, è simbolicamente pregnante: un’architettura di riflessi e trasparenze, costruita per suggerire un labirinto concettuale e spirituale. Le luci di Pasquale Mari, lungi dall’essere mero complemento estetico, assolvono il compito drammaturgico di scandire l’alternanza fra svelamento e occultamento. Esse non si limitano a illuminare la scena, ma tracciano percorsi simbolici, rendendo il palco un microcosmo in cui l’incontro tra umano e divino si manifesta in tutta la sua dolorosa complessità. Al centro di questo dispositivo teatrale, Marco Foschi dà vita a un Edipo segnato da un’inquietudine profonda, figlio del dubbio e della disperazione. La sua interpretazione si configura come un meticoloso scavo psicologico, attraverso cui emerge il conflitto irrisolvibile fra l’esigenza di conoscere e il terrore di scoprire la verità. Frédérique Loliée, nel ruolo di Giocasta, si muove con raffinata ambivalenza: il suo personaggio incarna la fragilità dell’essere umano di fronte all’ineluttabile, pur mantenendo un’aria di dignità regale. Roberto Latini nel ruolo di Tiresia, rappresenta il medium attraverso cui il sacro si fa parola: il suo tono oracolare, il suo incedere ieratico sottolineano la presenza del divino come forza oscura e inaccessibile. Il Coro, interpretato da Francesca Cutolo e Francesca Della Monica, funge da voce collettiva, riflettendo il dramma individuale di Edipo sulla comunità tebana. La loro vocalità, sospesa tra il lirico e il tragico, diviene il tessuto connettivo che salda il singolo al destino universale. L’adattamento di Fabrizio Sinisi si distingue per la finezza linguistica e l’acume con cui restituisce le tensioni originarie del testo. Ogni battuta sembra frutto di una scelta consapevole e rigorosa, un’operazione che mira a far emergere il nodo centrale della tragedia: il rapporto conflittuale tra razionalità e inconoscibile. L’operazione drammaturgica non è mai pedissequa, ma vive di una rinnovata sensibilità che attualizza senza tradire. Le suggestioni sonore di G.U.P. Alcaro compongono un paesaggio acustico che non si limita a sottolineare le azioni, ma le amplifica emotivamente. I suoni sordi e vibranti si amalgamano alle voci, creando un’atmosfera sospesa che accresce la tensione drammatica. I costumi di Graziella Pepe raccontano la caduta e il disfacimento di un ordine simbolico: le stoffe, inizialmente pregiate, si trasformano progressivamente, lasciando trasparire una realtà che si sfalda sotto il peso della verità. L’Edipo Re di Andrea De Rosa non è soltanto una rilettura fedele del capolavoro sofocleo, ma un’opera che interroga il nostro rapporto con la verità e con l’identità. In questo contesto, la tragedia non si limita a rappresentare l’ineluttabilità del fato, ma diviene uno specchio in cui riflettere le angosce contemporanee. De Rosa, attraverso una regia sapiente e una cura maniacale dei dettagli, riesce a trasformare il testo classico in un’esperienza profondamente perturbante, capace di scuotere il pubblico e di suscitare interrogativi che vanno ben oltre il palcoscenico. Lo spettacolo, nella sua apparente semplicità, rivela una struttura compositiva complessa, in cui ogni elemento – attoriale, visivo, sonoro – contribuisce a costruire un linguaggio teatrale che si nutre di stratificazioni simboliche e rimandi culturali. È un teatro che non cerca la facile emozione, ma ambisce a una riflessione di ampio respiro, spingendo gli spettatori a confrontarsi con i limiti del conoscere e con la vertigine dell’essere. In definitiva, questa versione dell’Edipo Re si presenta come un laboratorio di pensiero e di sensazioni, un luogo in cui il sacro e il profano, la storia e il mito, l’antico e il contemporaneo trovano un equilibrio raro e prezioso. Il risultato è un’esperienza teatrale che non si esaurisce nella visione, ma continua a lavorare dentro di noi, come un enigma che non smette mai di interrogare la nostra coscienza. Photocredit Andrea Macchia