Roma, Teatro Vascello
LA PULCE NELL’ ORECCHIO
di Georges Feydeau
traduzione, adattamento e drammaturgia Carmelo Rifici e Tindaro Granata
regia Carmelo Rifici
con Giusto Cucchiarini, Alfonso De Vreese, Giulia Heathfield Di Renzi, Ugo Fiore, Tindaro Granata, Christian La Rosa, Marta Malvestiti, Marco Mavaracchio, Francesca Osso, Alberto Pirazzini, Emilia Tiburzi, Carlotta Viscovo
scene Guido Buganza
costumi Margherita Baldoni
luci Alessandro Verazzi
musiche Zeno Gabaglio
costumi realizzati presso il Laboratorio di Sartoria del Piccolo Teatro di Milano, Teatro d’Europa
produzione LAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, La Fabbrica dell’attore – Teatro Vascello di Roma
Roma, 28 marzo 2025
Dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni ugualmente comode, che ci dispensano entrambe dal riflettere.» (Henri Poincaré)
Raimonda, si sa, sceglie la prima opzione. Dubita. Sospetta. Indaga. Non dorme più, poveretta. E tutto per colpa di una pulce. Anzi, La pulce nell’orecchio. Non un parassita, ma un pensiero ossessivo che ronza, si insinua e non ti lascia più. E quando la pulce è quella ideata da Georges Feydeau nel 1907, allora prepariamoci: c’è da ridere, certo, ma anche da osservare con occhi spalancati l’inarrestabile deragliamento di una società che si dibatte tra ipocrisie e desideri repressi. Carmelo Rifici prende questo meccanismo perfetto, lo smonta, lo ricompone, e gli regala una nuova energia, trasformando il vaudeville in un Luna Park teatrale contemporaneo. Accanto a lui, Tindaro Granata, in veste di co-autore della traduzione e dell’adattamento, lo accompagna in questa impresa rischiosa: far sì che un testo di tradizione possa parlare al presente con leggerezza e profondità.
Rifici, insomma, riesce laddove molti falliscono: fa rivivere Feydeau non come un vecchio mobile imbellettato, ma come un marchingegno pulsante, vivo, capace di scatenare ancora oggi quel senso di vertigine e smarrimento che solo la grande commedia riesce a produrre. La trama è un perfetto gioco a incastri. Raimonda (Marta Malvestiti), avvelenata dal sospetto che il marito Vittorio Emanuele (Christian La Rosa) la tradisca, lo mette alla prova con la complicità dell’amica Luciana (Francesca Osso): una lettera anonima, un invito in un albergo equivoco – che qui non si chiama “Minet Galant” ma “Hotel Feydeau” – e la trappola è pronta. Ma, come in ogni perfetta commedia degli equivoci, la trappola si ritorce contro i suoi stessi artefici e tutto si complica: entrano in scena amici, amanti, un sosia dal difetto di pronuncia (Camillo, interpretato da Tindaro Granata), un fanatico sportivo americano e perfino un albergatore che fabbrica saponette dai resti dei clienti.
Insomma, l’ordinato mondo borghese sprofonda in un delirio incontrollabile. Rifici sceglie di ambientare l’azione in un luogo che non è un albergo, ma una camera dei giochi: Guido Buganza firma una scenografia fatta di cubi di gommapiuma coloratissimi, morbidi e mobili, su cui gli attori si arrampicano, si nascondono, si lanciano, in un continuo movimento che richiama il teatro fisico e il cinema slapstick. L’elemento infantile diventa chiave di lettura: gli adulti borghesi, prigionieri delle loro nevrosi, sono ridotti a bambini che giocano alla guerra dei sessi. Ma il gioco si fa crudele. I costumi di Margherita Baldoni esaltano questa regressione all’infanzia, i colori accesi e le linee esasperate rendono i personaggi figure di un teatro di marionette, mentre le luci di Alessandro Verazzi scavano chiaroscuri che rivelano, dietro il sorriso, l’ombra.
La musica, composta da Zeno Gabaglio, suonata spesso dal vivo dagli stessi attori con strumenti giocattolo e oggetti d’uso comune, accompagna e sottolinea le gag, le cadute, le rincorse. Ma non si limita a fare da sfondo sonoro: diventa voce narrante, coro antico che commenta l’azione, e ne svela i sottotesti malinconici. Il cast è di rara coesione e affiatamento. Marta Malvestiti regala a Raimonda una comicità piena di grazia, mentre Christian La Rosa costruisce un Vittorio Emanuele impacciato e vulnerabile, afflitto da una crisi virile tanto divertente quanto patetica. Francesca Osso è una Luciana perfetta nel suo oscillare tra amica complice e agente del caos. Tindaro Granata, in doppio ruolo, restituisce un Camillo di struggente umanità: Charlot con il palato d’argento, goffo e tenero, che riesce a far ridere e commuovere con un gesto solo.
Accanto a loro, Giusto Cucchiarini, Alfonso De Vreese, Giulia Heathfield Di Renzi, Ugo Fiore, Marco Mavaracchio, Alberto Pirazzini, Emilia Tiburzi e Carlotta Viscovo completano un ensemble capace di reggere il ritmo forsennato del vaudeville senza mai perdere misura e controllo. Alla fine della corsa, quando i personaggi restano immobili, come statue di un girotondo impazzito, si avverte un retrogusto amaro. Tutto si è ricomposto, apparentemente. Ma sotto la superficie permane il vuoto: un’umanità che si agita, si rincorre, si scambia di ruolo solo per mascherare la propria solitudine e la propria pochezza. Rifici, senza didascalismi né moralismi, ci mostra come il teatro possa ancora essere un luogo di verità, anche quando sembra giocare con i colori e con i pupazzi. Ci si diverte, sì. Ma si riflette. E non è poco. Feydeau non è un semplice autore di vaudeville: è un lucidissimo anatomista delle ipocrisie borghesi. Carmelo Rifici lo sa bene, e in questa Pulce nell’orecchio costruisce uno spettacolo che diverte, punge e lascia il segno. Come quella pulce, che una volta entrata nella testa, non si può più ignorare. Photocredit Luca del Pia
Roma, Teatro Vascello: “La pulce nell’orecchio”
