Saronno, Teatro Giuditta Pasta: “Anna Karenina”

Saronno (VA), Teatro “Giuditta Pasta”, Stagione 2024/25
“ANNA KARENINA”

di Lev Tolstoj
Adattamento Gianni Garrera e Luca De Fusco

Anna Arkad’evna Karenina GALATEA RANZI
Conte Aleksej Kirillovič Vronskij GIACINTO PALMARINI
Aleksej Aleksandrovič Karenin PAOLO SERRA
Konstantin Dmitrič Levin FRANCESCO BISCIONE
Principessa Ekaterina “KittyAleksandrovna Ščerbaskaja MERSILA SOKOLI
Stepan “Stiva” Arkad’ič Oblonskij STEFANO SANTOSPAGO
Dar’ja “Dolly” Aleksandrovna Oblonskaja DEBORA BERNARDI
Principessa Elizaveta “Betsy” Fëdorovna Tverskaja GIOVANNA MANGIÙ
Contessa Lidija Ivanovna IRENE TETTO
Regia Luca De Fusco
Scene e Costumi Marta Crisolini Malatesta
Luci Gigi Saccomandi
Musiche Ran Bagno
Coreografie Alessandra Panzavolta

Proiezioni Alessandro Papa
Produzione Teatro Stabile di Catania / Teatro Biondo Palermo
Saronno (VA), 13 marzo 2025 – qui le altre date della tournée
Portare sulla scena un grande romanzo dell’Ottocento è un pericolo per tutti i registi e i drammaturghi, implumi o navigati: la scena infatti irrimediabilmente riduce, minimizza, e molto difficilmente sa aprire nuove prospettive o conferire nuovi significati a ciò che la narrazione su pagina, che non conosce alcun limite di sorta, non sia riuscita già a comunicarci. Il caso dell’“Anna Karenina“ di Luca de Fusco, tuttavia, presenta problemi lontani dal generico: il principale è la scelta registica di porre pesanti accenti sull’aspetto più sottilmente ironico, talvolta sarcastico, talaltra malinconico, della complessa partitura tolstoiana; spiegandoci meglio: ha ridotto Levin e Kitty ha due macchiette comiche, prima fidanzatini impacciati, poi Sandra e Raimondo di San Pietroburgo, quasi a preconizzare una loro fine come nuovi Dolly e Stepan, sebbene tutto ciò non esista nel romanzo di Tolstoj, anzi: per il loro autore, Levin e Kitty incarnano il modello matrimoniale sano, basato sul sacrificio di parte del proprio io, sull’impegno a conoscersi realmente e a condividere emozioni vere, che si oppone ai matrimoni sia di Dolly e Stiva (che procede nel mantenimento delle apparenze, ma falsamente e per forza di inerzia), sia, soprattutto, di Anna e Karenin, basato sulla pura idealizzazione dell’altro e che ha mostrato a tutta la società le proprie immedicabili ferite. Cosa ci sia mai da ridere, in questo sentimento puro, che si nutre di sofferenza da entrambe le parti, così come di profondo reciproco rispetto, vorremmo chiederlo a Luca de Fusco, giacché la sala del “Giuditta Pasta” di Saronno, l’altra sera, ha riso di gusto per metà dello spettacolo, anche quando si parlava di argomenti serissimi, come il sacrificio, il suicidio, la rispettabilità della donna. Inoltre, l’inevitabile adattamento è stato proprio orientato non a diminuire, ma a sminuire il carattere di Levin, dei cui fratelli viene omessa la storia e dal cui carattere viene estirpato tutto lo spirito idealista, che, ai tempi della prima pubblicazione, portò la critica ad insinuarne l’autobiografismo. Purtroppo, o per fortuna, se si vuole lavorare su “Anna Karenina“, non ci si può fermare alle scaramouche dell’alta società, allo scandalo dell’amore adulterino, nemmeno alla disamina del complesso carattere della protagonista, prescindendo dalla storia di Levin e Kitty, quasi i veri protagonisti del romanzo: ridurla in questo modo non è solo ingiusto nei confronti di Tolstoj, ma anche nei confronti dei (probabilmente pochi, ce ne rendiamo conto) veri amanti ed esperti di questo romanzo, che si recano a teatro sperando di vedere in carne ed ossa quei personaggi che spesso da una vita li accompagnano, e invece si trovano poche macchiette e un paio di bravi interpreti – ci riferiamo ovviamente alla protagonista, Galatea Ranzi, il cui riconosciuto talento e il magnetico fascino scenico, accompagnato da un vocalità consapevole di tutta la lezione teatrale novecentesca, non può che dare vita a una magnifica Anna, multisfaccettata, coinvolta in primis sul piano fisico e mimico, tutta tesa a un personaggio al di là di qualsiasi regia, che sembra partorito direttamente dall’immaginazione dei lettori; ma accanto a lei anche Stefano Santospago è un Oblonskij di squisita maniera, lui si giustamente un po’ sornione e un po’ cinico, portato in scena anche fisicamente coi giusti vezzi e la giusta cadenza confidenziale nel parlato; anche Paolo Serra nel ruolo di Karenin sa tratteggiare tutta la meschinità di un uomo capace solo di introiettare i sentimenti altrui, vampirizzando la moglie persino sul letto di morte per l’unica soddisfazione del proprio ego – peccato che il pubblico sovente rida del personaggio, poiché presentato, nel contesto dello spettacolo, semplicemente come il becco della storia. Per il resto, il cast non si può che assestare sul livello di accettabilità che ci aspetteremo da qualunque attore professionista: il conte Vronskij di Giacinto Palmarini è compassato, molto, forse troppo per un personaggio che dovrebbe risvegliare indicibili ardori nelle donzelle; la Dar’ja Aleksandrovna di Debora Bernardi è ultramanierata, anche troppo cantilenante nella continua lamentatio, la Betsy di Giovanna Mangiù è poco più che corretta, la Lidia di Irene Tetto va in una direzione ammiccante e grottesca, onestamente fastidiosa. La cornice in cui questi personaggi si muovono (curata da Marta Crisolini Malatesta), d’altro canto, è bella e funzionale, una scena di interno borghese in scala di grigio, con tanto di vetrata e balconcini, davanti alla quale si proiettano citazioni del romanzo, o immagini evocative (il ballo, la cavalla Fru Fru morente, la neve che cade, i binari, eccetera), anch’esse in un bianco e nero nostalgico, ma efficace. Come suggestive si sono rivelate le luci di Gigi Saccomandi, la scelta musicale di Ran Bagno, e i bei costumi sempre della Crisolini Malatesta. Quanto sarebbe stato bello poter ammirare, in questo contesto, un’“Anna Karenina” rispettosa del proprio passato letterario, che non si celebra soltanto facendo leggere a mo’ di didascalia parti del romanzo agli attori in scena (trovata non nuova, ma tutto sommato interessante)? Foto Antonio Parrinello