Venezia, Teatro Malibran, Lirica e Balletto, Stagione 2024-2025 del Teatro La Fenice
“IL TRIONFO DELL’ONORE”
Commedia posta in musica in tre atti Libretto di Francesco Antonio Tullio
Musica di Alessandro Scarlatti
Revisione del manoscritto originale a cura di Aaron Carpenè
Riccardo Albenori GIULIA BOLCATO
Leonora Dorini ROSA BOVE
Erminio Dorini RAFFAELE PE
Doralice Rossetti FRANCESCA LOMBARDI MAZZULLI
Flaminio Castravacca DAVE MONACO
Cornelia Buffacci LUCA CERVONI
Rosina Caruccia GIUSEPPINA BRIDELLI
Capitano Rodimarte Bombarda TOMMASO BAREA
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Enrico Onofri
Regia Stefano Vizioli
Scene e costumi Ugo Nespolo
Costumista realizzatore Carlos Tieppo
Light designer Nevio Cavina
Venezia, 11 marzo 2025
Nel trecentesimo anniversario della morte di Alessandro Scarlatti, debutta a Venezia Il trionfo dell’onore, l’unica “commedia posta in musica” dal sommo musicista di Palermo, insigne rappresentante della Scuola napoletana. Gli spettatori, che assistettero alla prima assoluta dell’opera, il 26 novembre del 1718, presso il Teatro dei Fiorentini in Napoli, salutarono con entusiasmo questo capolavoro, che pure li metteva di fronte a tanti aspetti nuovi: l’utilizzo dell’italiano invece del dialetto; la dovizia di pezzi d’insieme anziché la solita ininterrotta successione di arie; la cura nel definire i caratteri e gli affetti; la presenza di personaggi tutt’altro che aristocratici o eroici, che preannunciava l’imminente affermazione sociale della borghesia. Il pregevole libretto confezionato dall’esperto Francesco Antonio Tullio – che prevede otto personaggi, partecipanti a un funambolico gioco di coppie – permise a Scarlatti di spaziare, dimostrando un estroso humor musicale, tra forme e stili diversi, nell’intento di rinnovare il genere buffo e, verosimilmente, fare anche la parodia dell’opera seria con evidente autoironia. La regia di Stefano Vizioli si basa su un giusto equilibrio tra verosimiglianza e fantasia, grazie anche all’accattivante apparato scenico progettato dal pop artist Ugo Nespolo: una scenografia abbastanza tradizionale, che utilizza fondali, quinte, siparietti, ma che sa essere anche originale ed estroversa, basti considerare il suo acceso cromatismo. Vi campeggiano le raffigurazioni – di stampo vagamente naïf – di vari animali: il gufo, la gallina, il pavone, il cigno, le oche, altrettante allusioni ai caratteri dei personaggi. Alla
fantasia di Nespolo si devono anche i costumi – colorati ed estrosi –, realizzati da Carlos Tieppo. Libertà e inventiva si sono colte anche nei movimenti scenici talora con risvolti erotici, nel continuo gioco di seduzione che impegna i personaggi. Questi sono suddivisi in quattro coppie (Riccardo e Leonora, Erminio e Doralice, Flaminio e Cornelia, Rodimarte e Rosina), ma alcuni di essi sono sempre pronti al tradimento. Almeno prima dell’improbabile, edificante finalino. Vizioli nella sua messinscena, pone in risalto il legame fra Il trionfo dell’onore e il mozartiano Don Giovanni. Nell’opera di Scarlatti, il “dissoluto” è Riccardo, privo però dell’alone satanico che circonda l’eroe mozartiano. Ma ci sono altre analogie – secondo il regista napoletano – rispetto al capolavoro di Mozart e Da Ponte: Leonora, sedotta e
abbandonata da Riccardo, è una specie di donna Elvira, il fratello di lei Erminio un don Ottavio, tutto legalità e senso della giustizia, il fanfarone capitano Rodimarte, che accompagna Riccardo nelle sue avventure, somiglia a Leporello. Vizioli riesce a evidenziare la psicologia dei personaggi “seri” (Riccardo, Leonora, Erminio) così come rende irresistibili le figure stereotipate: oltre a Rodimarte, il vecchio scapolo impenitente Flaminio, che assedia in modo ossessivo la servetta Rosina, o l’anziana Cornelia con le sue smanie erotiche, affidata alla voce di tenore. Eccellente il livello degli interpreti vocali. Il soprano Giulia Bolcato – un Riccardo Albenori anticonformista in giubbotto e pantaloni rossi – ha sfoggiato una voce omogenea e corposa, oltre che adeguata presenza scenica nel delineare la figura di Riccardo da seduttore incallito (“È ben far come l’ape”) a seduttore pentito (“Ricevi il mio core / non più mancatore”). Analogamente autorevole la prova del mezzosoprano Rosa Bove – in un corto vestito azzurro –, che ha saputo rendere il patetismo autentico
di Leonora fin dalla prima aria, “Mio destin fiero e spietato”, quasi interrotta per un eccesso di commozione, come nelle successive (“Sospirando, penosa, dolente” e “Ne vuoi più, mia fiera sorte?”). Si è positivamente segnalato anche il controtenore Raffale Pe nei panni – giaccone e collana – di un anticonformista Erminio, che medita di vendicare la sorella Leonora (“Daranno al petto / ira e furore”) e l’amata Doralice (“Per quell’impuro indegno”). Ingenua e capricciosa la Doralice – di verde vestita – offerta dal soprano Francesca Lombardi Mazzulli. Ottima la prestazione del tenore Dave Monaco, in redingote verde, che ha ben caratterizzato il vecchio Flaminio, caricatura dello scapolo attempato che si crede ancora un Ganimede (“Con quegli occhi ladroncelli”). Assolutamente irresistibile, per vocalità e presenza scenica, il tenore Luca Cervoni, che ha interpretato – con la verve di Michael Aspinall e di Paolo Poli – un’estroversa Cornelia in vestaglia da camera. Altrettanto
travolgente la Rosina delineata dal mezzosoprano Giuseppina Bridelli nei classici panni da cameriera: quintessenza dell’astuzia femminile (“Il farsi sposa”) ma anche disposta alla tenerezza (“Avete nel volto”). Le ha pienamente corrisposto il Rodimarte del basso-baritono Tommaso Barea – costume azzurro con pantaloni alla turca e tricorno – che ha sfoggiato una voce ben timbrata e una forte presenza scenica, brillando in “Quando ruoto feroce il mio brando”, grottesca imitazione dell’aria di tipo eroico, con una lunga coloratura, in corrispondenza della parola “espugnando”, e un’aria di portamento nel Lento centrale. Duttile e scattante l’Orchestra del Teatro La Fenice ha assecondato il gesto direttoriale di Enrico Onofri, che con mano sicura quanto delicata ha ottenuto un suono cristallino e scandito dei tempi alquanto serrati. Il maestro ravennate ha guidato strumenti e voci, affrontando da par suo la scrittura estremamente varia ed elegante con cui Scarlatti esprime ogni gesto, ogni affetto, e in particolare coniugando il rigore del contrappunto all’espressività del canto. Successo travolgente senza “se” e senza “ma”.