Alessandro Giuli: “Antico Presente. Viaggio nel sacro vivente”

ANTICO PRESENTE. VIAGGIO NEL SACRO VIVENTE
Autore: Alessandro Giuli
Editore: Baldini + Castoldi
Anno edizione: 2025
In commercio dal: 15 aprile 2025
Pagine: 240 p., Brossura
EAN: 9791254942499
Il sacro sotto le rovine
Nel suo “Antico Presente”, Alessandro Giuli intreccia mito, memoria e politica culturale per interrogare il tempo profondo dell’Italia e la sua vocazione spirituale dimenticata
«Abditae in visceribus terrae vestigia sunt, quae non pereunt, sed dormiunt.» (Le vestigia celate nelle viscere della terra non periscono, ma dormono)
Ci sono scritture che non si limitano a informare, ma interrogano. Non conducono semplicemente tra le pieghe del passato, ma lo convocano, lo costringono a parlare nella lingua d’oggi. Antico Presente. Viaggio nel sacro vivente, firmato da Alessandro Giuli, non aderisce alle forme consuete del saggio, né si presta a classificazioni agili. È piuttosto un’opera a latere, capace di oscillare tra meditazione civile, esplorazione simbolica e riflessione sulla continuità del sacro nel paesaggio culturale italiano. Non si tratta di una guida turistica né di un atlante del patrimonio, ma di un attraversamento spirituale dei luoghi e delle storie che hanno forgiato l’identità profonda dell’Italia antica. Il percorso tracciato da Giuli comincia dalle popolazioni italiche e si inoltra nel mondo etrusco e romano, fino a toccare i confini estremi del Mediterraneo. L’itinerario non si limita a Roma — qui rivisitata come un museo vivente, ma ancora capace di stupire con epifanie inattese — e si estende alla Maremma, alla Tuscia, all’Abruzzo, alla Puglia e oltre, verso terre lontane eppure da sempre intrecciate alla nostra memoria storica. Ogni tappa del cammino, ogni suggestione mitica o fondativa, diventa occasione per risvegliare ciò che è latente: la percezione che il tempo non sia lineare, ma ritmico; che il mito non sia favola, ma architettura mentale e spirituale. Il concetto di “sacro vivente”, che dà titolo all’opera, non si riferisce a un credo codificato né a un sistema teologico. È, semmai, la traccia di un ordine simbolico ancora percettibile sotto la crosta dell’attualità. Un ordine smarrito, ma non estinto. Giuli non si affida alla nostalgia, ma a un esercizio intellettuale: rendere di nuovo udibile ciò che la modernità ha coperto di rumore. Ne deriva una scrittura densa, non mediata, deliberatamente lontana dalla semplificazione. L’autore costruisce un idioma colto, a tratti ieratico, che rifiuta la fretta e richiede attenzione. Il testo si articola per ellissi, ritorni, intermittenze, e non segue un andamento documentario. Piuttosto, si configura come una liturgia personale, dove le leggende e le battaglie epiche, le apparizioni divine e i rituali perduti, si fondono in un’unica materia vibrante. La prosa è volutamente solenne, erede di un pensiero che non rinuncia alla verticalità e rifiuta la banalizzazione del sacro in chiave estetica o folklorica. La prefazione, affidata a Andrea Carandini — figura eminente dell’archeologia italiana — non è soltanto un sigillo di autorevolezza, ma una chiave di lettura essenziale. Carandini riconosce in questo volume un atto di continuità con quella linea di pensiero che considera il patrimonio come sistema vivente di valori e significati, non come insieme muto di reperti. Il sacro di cui si parla non è il culto, ma il fondamento: ciò che precede, ciò che fonda, ciò che ancora agisce. Naturalmente, chi legge con strumenti storici potrà avvertire qualche dissonanza: l’assenza di un apparato filologico, certe corrispondenze simboliche che sfiorano l’intuizione più che la verifica, il rischio — sempre latente — di cadere nell’idealizzazione. Tuttavia, sarebbe un errore giudicare l’opera con i parametri dell’erudizione accademica. Antico Presente non è un compendio, ma un atto critico: muove dal dato, ma tende all’invisibile. L’intento sotteso è chiaro: affermare che la civiltà — intesa come forma di coscienza — non può sopravvivere senza una tensione verticale. Senza il riconoscimento, anche implicito, di una dimensione ulteriore rispetto alla contingenza. In questa prospettiva, il patrimonio culturale non è un insieme di manufatti, ma un sistema di segni ancora operanti, che chiedono di essere riletti non con l’occhio del turista, ma con quello dell’iniziato. Nel panorama editoriale italiano, dominato da testi agili e accomodanti, Antico Presente si presenta come un oggetto volutamente dissonante. Non intrattiene, non consola, non informa: pone una questione. E in questo sta il suo valore più problematico. Giuli non chiede consenso, ma attenzione. Propone un linguaggio che non teme la solennità, e una visione che rifiuta la neutralità. Il lettore si trova così coinvolto in un confronto più che in una lettura: chiamato non ad aderire, ma a prendere posizione. Perché questo libro — che non è un’ode all’antico, ma un’esplorazione della sua persistenza simbolica — obbliga a riflettere su cosa significhi oggi appartenere a un orizzonte culturale che si crede sepolto e invece continua a parlarci. Non con le voci del passato, ma con quelle che abbiamo dimenticato di ascoltare.