Amici della Musica di Firenze: quando il virtuosismo incontra la musica di Maurice Ravel

Firenze, Teatro della Pergola, Stagione Concertistica degli Amici della Musica di Firenze 2024/25
Violino Massimo Quarta
Violoncello Enrico Dindo
Pianoforte Pietro De Maria
Maurice Ravel: Sonata in do maggiore per violino e violoncello; Gaspard de la Nuit, per pianoforte; Trio in la minore per violino, violoncello e pianoforte

Firenze, 12 aprile 2025
L’ultimo concerto della Stagione degli Amici della Musica ha celebrato nel migliore dei modi i 150 anni dalla nascita di Maurice Ravel con un programma la cui realizzazione era affidata a tre fuoriclasse del concertismo. Come si evince dalla locandina si potevano apprezzare composizioni che se da un lato mettevano in risalto le qualità virtuosistiche di ogni componente, dall’altro offrivano la possibilità di creare quell’armonia profonda rintracciabile nella perenne dialettica tra menti altamente sensibili e creative. Nella concezione di un programma in cui la cifra era la varietà si poteva percepire, sia nella prima composizione che nella seconda per pianoforte solo, un tipo di individualismo in cui ognuno traeva senso dall’insieme evolvendosi mediante una propria logica ed inventio. Entrando più nei dettagli dei singoli brani l’esordio, con l’imperscrutabile Sonata in do maggiore dedicata “À la mémoire de Claude Debussy”, ha visto protagonisti Massimo Quarta ed Enrico Dindo. In questa composizione è lo stesso Ravel a dichiarare di rinunciare al fascino dell’armonia a favore della melodia, non facendo ravvisare un primus inter pares. In questo modo si può meglio comprendere la concezione ampia e variegata dell’ ‘esplorazione dei registri’ e della scrittura di entrambi gli strumenti tanto che, in molti tratti, si poteva immaginare un autentico quartetto d’archi. Nei quattro movimenti della composizione (Allegro – Très vif – Lent- Vif, avec entrain) – pur ispirandosi alle forme della tradizione (Allegro – Sonata, il Lento che guarda alla Passacaglia e al Rondò dell’ultimo movimento) concepite in modo più emancipato – si coglievano esempi magistrali di idiomi proiettati nella pluralità e complessità della musica del XX secolo. Per la varietà dei linguaggi (modalità, politonalità, ecc.) o per la presenza di poliritmia e polimetria in certi episodi l’ascolto poteva essere destabilizzato ma, grazie alla scelta dei fraseggi, dei tempi e di qualsiasi altro dettaglio della scrittura da parte degli interpreti, il risultato è stato un rifinito dialogo il cui contrappunto è apparso come un fine lavoro di cesello tanto da poterlo immaginare con gli occhi. L’esecuzione di Gaspard de la Nuit è stata l’occasione per ascoltare uno dei monumenti del virtuosismo pianistico, ispirato, come da sottotitolo, ai Trois poèmes pour piano d’après Aloysius Bertrand, nell’interpretazione di Pietro De Maria. Perfino il semplice ascoltatore, privo di qualsiasi ‘dottrina musicale’, poteva rendersi conto della complessità di questo lavoro in cui il rischio di cadere nella monotonia era molto alto. De Maria, nel restituire all’ascolto quest’opera meravigliosa, oltre che attingere ad una tecnica raffinata in cui emergeva un controllo incredibile del tocco, dei pedali, dei colori e quant’altro, sembrava viaggiare in un tempo dettato da una dimensione a tratti onirica rispetto ad altri momenti più ‘oscuri’, benché reali e pur sempre poetici. L’ inizio (Ondine), nel ricordare lo scorrere dell’acqua e il luogo dove vive la ninfa, rendeva il tutto più visionario e fantastico con il suono ‘vellutato’ del pianoforte. Non importava cogliere cosa accadeva musicalmente con armonie particolari nello scorrere dei suoni (scorrere dell’acqua) poiché bastava seguire l’invito della naiade: «Ecoute! – Ecoute ! – C’est moi, c’est Ondine qui frôle de ces gouttes d’eau losanges sonores de ta fenêtre illuminée par les mornes rayons de la lune» per entrare subito nella dimensione lirico-poetica dell’interpretazione dello spartito. Anche nei numeri successivi (Le gibet e Scarbo), in cui sono richieste all’interprete alte cifre espressive, De Maria ha offerto un’ottima interpretazione. A chiudere la serata uno straordinario esempio di scrittura cameristica del Novecento in cui i tre interpreti si danno appuntamento in una gradevole e, a tratti, accesa conversazione in cui sembrava cogliere lo spirito dei grandi del passato, in primis di André Gedalge, dedicatario dell’opera, maestro di contrappunto di Ravel e di cui ancora oggi viene utilizzato il Traité de la fugue. Affiorava inoltre alla mente la première parigina (gennaio 1915) con Alfredo Casella al pianoforte, Georges Enesco al violino e Louis Feuillard al violoncello. Benché i modelli formali della composizione guardino alla tradizione, traslucidano di novità e di tanta libertà che può collegarsi a quell’individualismo degli interpreti descritto poco sopra e che ora richiedeva al pubblico una particolare attenzione per i dettagli, lasciandosi inondare da vibrazioni decisamente seducenti. Per chi desiderava entrare più in sintonia con la musica bastava darsi ‘appuntamento’ al terzo movimento (Passacaille. Très large in fa diesis minore) afferrando il tema pentatonico esposto dall’inizio nelle prime otto battute (‘bussola’ per l’intero movimento) dalla mano sinistra del pianoforte, accostandosi, nella reiterazione del melos, al violoncello e poi al violino, lasciandosi avvolgere successivamente da un contrappunto magistrale. Il resto, come durante tutto il concerto, ha prodotto un caleidoscopio di sonorità con colori e sfumature bellissime, autentiche portatrici di emozioni.

Grande successo per i musicisti tanto che, grazie ai lunghi e ripetuti applausi del pubblico, è stato possibile ‘godere’ di un fuori programma: l’Allegro con brio, secondo movimento del Trio per violino, violoncello e pianoforte n. 2 op. 67 di Dmitrij Šostakovič e il bis del secondo movimento del Trio di Ravel. Foto  Giulia Nuti