Milano, Teatro alla Scala, stagione d’opera e belletto 2024/25
“L’OPERA SERIA”
Commedia per musica in tre atti su libretto di Ranieri de’ Calzabigi
Musica di Florian Leopold Gassmann
Fallito PIETRO SPAGNOLI
Delirio MATTIA OLIVIERI
Sospiro GIOVANNI SALA
Ritornello JOSH LOVELL
Stonatrilla JULIE FUCHS
Smorfiosa ANDREA CARROLL
Porporina SERENA GAMBERONI
Bragherona ALBERTO ALLEGREZZA
Befana LAWRENCE ZAZZO
Caverna FILIPPO MINECCIA
Ballerina MARIA MARTIN CAMPOS
Coro di ballerini DILAN SAKA, HAIYANG GUO, XHIELDO HYSENI
Orchestra e coro del Teatro alla Scala – Les Talens Lyriques
Direttore Christophe Rousset
Regia e costumi Laurent Pelly
Scene Massimo Troncanetti
Luci Marco Grossi
Coreografie Lionel Hoche
Milano, 6 aprile 2025
Florian Leopold Gassmann chi era costui? Potremmo chiederci come faceva Don Abbondio con Carneade e la domanda non sarebbe importuna essendo il boemo praticamente sconosciuto. Eppure si tratta di figura non marginale nella vita musicale europea del pieno settecento. Allievo di Padre Martini, musicista cesareo, propugnatore degli ideali riformatori di De Calzabigi e Gluck, maestro di Salieri. Questi pochi dati potrebbero bastare a indicarne la rilevanza. “L’opera seria” andata in scena a Vienna nel 1769 e qualcosa di più delle semplici parodie metateatrali tanto care al Settecento. È un vero pamphlet in musica con cui i propugnatori della riforma attaccano il melodramma post metastasiano ormai diventato mera ripetizione di formule e schemi – “non c’è obbligo di stare in attenzione”, “non ti muove a timor né a compassione” citando il libretto – e al contento la fallimentare gestione della vita musicale affidata a impresari spesso senza scrupoli. Libretto e musica giocano tutte le carte al riguardo. L’ampollosità ridicola dei versi, la rigidità formale delle arie sono armi di denuncia ci si contrappone la naturalezza dell’opera riformata. Molte le citazioni, i rimandi, le parodie forse non sempre così evidenti all’ascoltatore odierno ma sicuramente perfettamente fruibili al tempo. Un lavoro forse non ispiratissimo ma di certo godevole e che molto chiede all’esecuzione. E in tal senso la non comune sensibilità di Laurent Pelly sa cogliere l’essenza di questo tipo di lavori. Allestimento
essenziale, tutto giocato su alternanze di bianco, grigio e nero quasi a dar vita a una raccolta d’incisioni. Costumi in epoca rivisti con ironia – solo Fallito indossa abiti moderni, infondo certe figure non hanno tempo – ma soprattutto un lavoro attoriale meticoloso e puntualissimo. Una regia che parte dai personaggi e dai loro rapporti e che li fa vivere in una realtà stralunata ma mai caricato. Spettacolo leggerissimo dove tutto si svolge con la massima eleganza ma senza nulla sacrificare sul terreno della pura teatralità. Le coreografie di Lionel Hoche perfettamente coerenti completano la parte visiva.
Christophe Rousset è una certezza assoluta in questo repertorio e per l’occasione i complessi scaligeri – impegnati su strumenti d’epoca – sono rinforzati dagli splendidi Talens lyrique. In perfetta aderenza con lo spettacolo viene data una lettura orchestrale di magistrale chiarezza e impeccabile senso teatrale. Sonorità nette, nitide, ritmi guizzanti danno al gioco scenico tutta la sua energia vitale.
Il vero punto di forza è, però una compagnia di cantanti attori perfettamente calati nello spettacolo e con un senso di complicità quale raramente si riscontra. L’impresario Fallito è affidato a Pietro Spagnoli e difficilmente si poteva far scelta migliore. Maestro assoluto della parola trova nel personaggio il terreno ideale per far emergere le sue doti d’interprete concedendosi qualche uscita improvvisata – il richiamo a Petrolini dopo la caduta del teatro – che s’inserisce a pennello nel contesto. Unico in abiti moderni incarna alla perfezione l’eterno truffatore che è uno degli archetipi della commedia all’italiana. La coppia poeta e librettista che anziché aiutarsi non fanno altro che litigare e danneggiarsi a vicenda è affidata a Mattia Olivieri (Delirio) e Giovanni Sala (sospiro). Entrambi vocalmente impeccabili, voci belle, schiette, sincere e interpretativamente calati alla perfezione. Il primo un nevrotico sempre sull’orlo del tracollo, il secondo di una sospirosità volutamente caricaturale. Alessio Arduini riesce dare forte risalto al ruolo in fondo secondario del maestro di ballo Passagallo. Non solo canta molto bene e con splendido materiale vocale – peccato la parte si riduca a un’aria e poco più – ma si muove con l’eleganza di un vero ballerino. Il primo musico Ritornello è qui affidato a un tenore. Scelta abbastanza insolita, ci si aspetterebbe un mezzosoprano a parodiare i castrati. Il canadese Josh Lovell canta con gran gusto – da autentico specialista mozartiano – e si dimostra interprete spigliato e simpatico. Il terzetto femminile è capitanato da Julie Fuchs. La prima donna Stonatrilla è parte assai impegnativa cui sono affidate arie di bravura volutamente esasperate – “No, se a te non toglie il fato” – che la cantante francese risolve con inappuntabile maestria. Sul piano interpretativo si apprezza assai un’interpretazione moderata che evita inutili smancerie, centrata sulla musica ed efficacie proprie nella sua essenzialità. Le due seconde donne in perenne lite tra
loro sono Serena Gamberoni (Porporina) e Andrea Carroll (Smorfiosa). La prima, personaggio più forte spesso in contrasto con la Primadonna, è ideale per il temperamento della Gamberoni. Vocalmente in ottima forma cesella la spassosa “Delfin che al laccio infido” e in scena si muove da attrice consumata. La Carroll mostra qualche limite sul piano vocale – gravi poveri di suono e acuti a volte un po’ al limite – ma rende con grande simpatia il personaggio, lamentoso e sempre afflitto da ogni problema. Cosa dire del terzetto Alberto Allegrezza, Filippo Mineccia e Lawrence Zazzo nei panni delle insopportabili madri delle cantanti se non che le loro parti sono troppo brevi. Il loro terzetto è tra le pagine più irresistibili dell’opera e il trio degli interpreti è semplicemente perfetto. Viste certe assonanze con la futura Mamma Agata viene da chiedersi se Donizetti non conoscesse quest’opera. Splendido il finale dove il tema classico del giuramento di odio eterno di Annibale verso i romani diventato un topos dell’opera seria – si pensi al finale del “Mitridate re di Ponto” – viene parodisticamente rivolto contro l’infida stirpe degli impresari. Sala gremita –moltissimi i giovani – e grande successo di pubblico. Foto Brescia e Amisano
Milano, Teatro alla Scala: “L’opera seria” di Florian Leopold Gassmann
