Parigi, Opera National de Paris: “Vers la Mort” e ” Appartement”

Parigi, Opéra National de Paris 
“VERS LA MORT”
Creazione coreografica originale OCD Love
Coreografia e costumi Sharon Eyal
Assistente alla coreografia e ai costumi Gai Behar
Musica Ori Lichtik
Lighting Design Thierry Dreyfus
Ripetitori Breanna O’Mara, Léo Lerus
Interpreti Naïs Duboscq, Caroline Osmont, Nine Seropian, Adèle Belem, Marion Gautier de Charnacé, Mickaël Lafon, Yvon Demol, Julien Guillemard, Nathan Bisson
“APPARTEMENT”
Coreografia Mats Ek
Musica ed esecuzione dal vivo Fleshquartet
Scene e costumi Peder Freiij
Luci Erik Berglund
Ripetitori Mariko Ayoama, Ana Laguna, Stéphane Bullion
Interpreti Ludmila Pagliero, Marc Moreau, Jack Gasztowtt, Antoine Kirscher, Pablo Legasa (La Salle de Bains), Hugo Marchand (La Télévision), Hanna O’Neill, Clémence Gross, Ida Viikinkoski, Germain Louvet, Marc Moreau, Antoine Kirscher, Pablo Legasa, Daniel Stokes (Le Passage Piéton), Valentine Colasante, Jack Gasztowtt (La Cuisine – Pas de Deux), Germain Louvet, Antoine Kirscher, Daniel Stokes (Trio – Pas de Deux), Hanna O’Neill, Pablo Legasa, Valentine Colasante, Jack Gasztowtt, Ludmila Pagliero, Hugo Marchand, Ida Viikinkoski, Marc Moreau (Valse), Valentine Colasante, Hannah O’Neill, Ludmilla Pagliero, Clémence Gross, Ida Viikinkoski (La Marche des Aspirateurs), Germain Louvet, Antoine Kirscher (Duo des Embryons), Ida Viikinskoski, Marc Moreau (La Porte – Pas de Deux)
Balletto creato per il Balletto dell’Opéra national de Paris il 27 maggio 2000

Parigi, Palais Garnier, 30 marzo 2025
Parigi, oggi come nel Seicento, è tra le capitali indiscusse della danza e del balletto. Diretta dal dicembre 2022 da José Martinez, già Danseur Étoile del teatro nonché direttore artistico tra il 2011 e il 2019 della Compagnie National de Danse d’Espagne, la compagnia di balletto dell’Opéra National de Paris punta ad intrecciare in uno scambio osmotico le coreografie più incisive del repertorio classico e contemporaneo, al fine di preservare la lunga tradizione devota all’eccellenza e di favorire al contempo una fruttuosa collaborazione con i nomi di punta della più fervente attualità autoriale. Si situa naturalmente in questa linea lo spettacolo da noi visto il 30 marzo scorso al Palais Garnier incentrato sul rapporto tra la più recente affermazione della coreografa israeliana Sharon Eyal e la classica contemporaneità di Mats Ek, di cui si festeggia l’ottantesimo compleanno. Due pezzi, quelli scelti, destinati alla riscoperta delle sfumature più solitarie dell’amore. Due espressioni di un diverso modo di concepire la scrittura coreografica, che nel riscoprire affinità e nel tracciare sentieri ereditari, evidenziano congiuntamente discordanze e disomogeneità. In un cammino a ritroso, possiamo quindi vedere quanto la danza di oggi nel suo essere sostanzialmente postumana si sia distanziata dalla danza più puramente postmoderna dei grandi autori novecenteschi. Nel primo pezzo, Vers la mort, ci troviamo di fronte ad una rielaborazione del più noto OCD LOVE. Tutto nasce da una poesia del trentenne poeta slam americano Neil Hilborg, ovvero da un monologo autobiografico in versi di un uomo innamorato che soffre di un disturbo ossessivo compulsivo. Una storia di tic mentali che si susseguono ripetendosi all’infinito. «Ho chiuso la porta? Sì. Mi sono lavato le mani? Sì». E all’improvviso la visione di una lei che sconvolge tutti i patterns mentali, cambiandone il paesaggio di immagini con una curva a spillo delle labbra o una ciglia caduta su una guancia. È questa la fonte della trilogia di Sharon Eyal, creata a partire dal 2015 per la propria compagnia di nome L-E-V, la traduzione in ebreo del termine «cuore». Nel 2003 la coreografa era divenuta direttrice artistica associata della Batsheva Dance Company. Dal 2005 al 2012 ne era stata coreografa residente. Nata a Gerusalemme nel 1971 Sharon Eyal si è imposta nel panorama della danza contemporanea israeliana con una trentina di creazioni e numerosi premi. Spesso associata all’universo della danza gaga, in realtà la coreografa ha mosso i primi passi nell’ambito della danza classica da cui prende sovente le mosse per la sua ricerca espressiva. La sensualità è uno dei temi cardine della sua coreografia, coniugata in una dimensione di metaverso techno dalla musica di Ori Lichtik. La scenografia del pezzo è oltremodo spoglia, ed a determinare il quadro di emozioni sono i fasci di luce di Thierry Dreyfus. Avvolta dalla luce bianca nella sua calzamaglia color carne, la prima danzatrice reagisce ai beat della musica con una distensione delle braccia, sfiorando leggermente l’avambraccio per poi contrarsi con improvvisa decisione. Da qui si passa alla spalla ed al cambré, per tornare lentamente in asse. Dopo un cambio di épaulement, la testa si scuote mentre le braccia scivolano giù. Il piede si stacca da terra coinvolgendo in un sussulto anche il ginocchio, e la gamba scavalca la prima posizione delle braccia in un assertivo développé. Si unisce una seconda danzatrice imponendosi con le accelerazioni del corpo, e le due si muovono a specchio. Infine, un piccolo corpo di ballo anima il pezzo di un’energia frenetica, obbligando lo spettatore a rimanere sintonizzato con questo loop di movimenti rivelatosi asfittico dopo lo stordimento iniziale. Ben diversa l’atmosfera di Appartement, creato originariamente nel 2000 da Mats Ek per la compagnia francese. Nella danza teatrale del coreografo svedese, la scenografia di Peder Freiij dà origine ad una dimensione di grottesco dadaista. Ci si rialza dal bordo inferiore di un sipario rosso per avanzare verso un bidet o una poltrona, così come si dà il via ad una danza con degli aspirapolvere o si recinta tutto di strisce colorate che indicano lavori in corso. La musica sullo sfondo è quella elettronica dei Fleshquartet che coniuga la leggerezza degli archi a ispirazioni più carnali. Il va’ e vieni di pedoni danzanti contorna le solitudini della città. Il movimento ricorda a volte la più banale quotidianità, in una tensione verso il basso che sembra discendere da Bachtin. Tuttavia, qui al riso si mescola la malinconia, una porta socchiusa lascia fuoriuscire una verità di vita ben diversa dalle nevrosi del primo pezzo, e su tutto prevale la poesia di ciò che non è imposto con forza aggressiva, ma con la semplicità di un bisbiglio che arriva quasi sussurrato allo spettatore, lasciandolo realmente inebriato. Foto Opéra National de Paris