Pompei, Parco Archeologico: “La domus di Elle e Frisso”

Pompei, Parco Archeologico
La domus di Elle e Frisso: dinamiche dell’ultimo istante e cultura materiale di una tragedia urbana

Il letto posto di traverso a sigillare un ambiente, i resti scheletrici, la bulla infantile, il vasellame in bronzo e le anfore di garum: materiali e contesto di una morte improvvisa nella Pompei del 79 d.C.
L’area di scavo ubicata lungo la cosiddetta via del Vesuvio, all’interno del settore nord di Pompei, ha restituito – nell’ambito di interventi di consolidamento e valorizzazione tra aree già indagate e porzioni ancora da scavare – un nuovo importante nucleo abitativo. Si tratta di una domus denominata di Elle e Frisso, dal nome del soggetto mitologico raffigurato in un pannello affrescato nel triclinio, che ha offerto dati significativi sulla dinamica dell’eruzione vesuviana e sulle risposte comportamentali degli abitanti durante le fasi finali dell’evento del 24 agosto 79 d.C. Il complesso, articolato su più ambienti afferenti a un’unità di medio-alto livello sociale, risulta in parte già noto per la sua vicinanza alla Casa di Leda e il Cigno, scavata nel 2018. I recenti interventi hanno consentito l’identificazione di un atrio con impluvium, un cubiculum, un triclinio decorato in IV stile pompeiano, un vano scoperto con tettoia per la raccolta pluviale e un vano di servizio destinato a dispensa, in parte sotto scala, con anfore stipate. Elementi strutturali e indizi materiali attestano che l’edificio era, al momento dell’eruzione, oggetto di lavori di ristrutturazione: tra questi si segnalano soglie rimosse, tratti murari tagliati e lacune decorative localizzate. Tra gli elementi di maggiore rilevanza stratigrafica e culturale figura il ritrovamento di quattro individui deceduti verosimilmente durante le fasi avanzate dell’eruzione, ascrivibili al collasso edilizio o alla successiva corrente piroclastica. La posizione dei corpi, associata a elementi della cultura materiale, offre preziosi elementi interpretativi. In uno degli ambienti interni, il rinvenimento di un letto ligneo collocato in posizione trasversale rispetto all’ingresso – e da cui è stato possibile realizzare un calco in gesso sfruttando le cavità lasciate dal legno decomposto nella matrice piroclastica – lascia ipotizzare un tentativo deliberato di ostruire l’accesso, forse come misura di protezione dall’ingresso dei lapilli attraverso l’apertura del tetto dell’atrio. Questa dinamica suggerisce un tentativo organizzato e razionale di sopravvivenza: i lapilli della fase iniziale dell’eruzione, caduti attraverso l’apertura centrale del tetto (compluvium), avrebbero costituito una minaccia immediata, spingendo gli occupanti a rifugiarsi in uno spazio secondario, isolandolo con gli arredi a disposizione. Il letto, nella sua funzione di barriera, si trasforma così da elemento d’arredo a strumento difensivo. Il fatto che si sia conservato come impronta negativa nella cenere solidificata permette oggi una restituzione tridimensionale del manufatto, fondamentale per lo studio del mobilio ligneo romano. Tra i resti antropologici, si segnala la presenza di un individuo infantile, connesso alla scoperta di una bulla in bronzo, tipico pendente apotropaico che i maschi romani liberi indossavano fino al raggiungimento della pubertà (toga virilis). Il rinvenimento della bulla in situ, in relazione con i resti del bambino, offre un importante dato di tipo culturale e sociale sullo status dell’individuo e sul valore attribuito agli amuleti nella protezione dell’età infantile. Altri elementi della cultura materiale includono un deposito di anfore, alcune delle quali contenenti residui organici attribuibili al garum, salsa di pesce fermentato di largo consumo in età romana, destinata sia all’uso domestico che al commercio. Il deposito si collocava in un vano secondario sotto scala, verosimilmente adibito a funzione di dispensa. Di particolare interesse è anche il rinvenimento di un servizio da mensa in bronzo costituito da attingitoio (simpulum), brocca monoansata, vaso a paniere (ciborium) e coppa a conchiglia (patera), verosimilmente parte del corredo utilizzato nel triclinio per il banchetto, pratica fondamentale nella ritualità e nella rappresentazione sociale della domus romana. Dal punto di vista iconografico e decorativo, la parete del triclinio ospita un affresco in IV stile con scena mitologica raffigurante Frisso ed Elle in fuga su un montone dal vello d’oro, identificabile con il Crisomallo. L’iconografia, che mostra Elle nel momento della caduta nelle acque dell’Ellesponto, mentre tende la mano verso il fratello, è di particolare rilevanza simbolica: evoca una tragedia imminente, un soccorso negato, una morte ineluttabile, elementi che paiono rispecchiare, quasi con sinistra prefigurazione, la condizione degli abitanti della casa. Nel contesto del I secolo d.C., la funzione di tali rappresentazioni mitologiche all’interno della domus non è più legata a una fruizione religiosa o cultuale, quanto piuttosto a dinamiche di rappresentazione estetica e culturale: l’apparato decorativo costituiva un indice visivo dello status economico, del gusto e dell’adesione a una cultura letteraria condivisa tra i ceti elevati e medio-alti della società urbana. In tal senso, anche la scelta della scena tragica appare congrua con il contesto del triclinio, spazio deputato all’ostentazione e alla convivialità ritualizzata. Il valore archeologico del sito risiede dunque non solo nel contributo che offre alla ricostruzione delle ultime ore di vita di Pompei, ma anche nella complessità stratigrafica, nella qualità della cultura materiale, nella varietà funzionale degli ambienti e nella ricchezza decorativa. La domus di Elle e Frisso rappresenta un microcosmo domestico colto nell’attimo del disastro, in cui il tempo si è fermato cristallizzando gesti quotidiani, strutture in transizione e oggetti d’uso che diventano segni, testimoni muti della fine. Come sottolineato dal direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, scavare in questo sito significa oggi confrontarsi con la bellezza e, simultaneamente, con la precarietà della vita. L’elemento umano si intreccia al dato tecnico: il letto spostato, la corrente piroclastica, il crollo delle strutture, le fratture murarie. La scienza archeologica restituisce voce a chi non ha potuto raccontare la propria fine, e consente a noi, uomini del presente, di leggere nei frammenti del passato l’eco di una condizione condivisa: quella della vulnerabilità. Photocredit Parco Archeologico di Pompei