Roma, Museo di Arte Contemporanea
NINO BARTOLETTI 1889-1971
a cura di Pier Paolo Pancotto
Roma, 11 aprile 2025
Ogni tanto, nella programmazione espositiva di una città come Roma, emerge una mostra che non solo colma un vuoto, ma chiarisce un malinteso. La retrospettiva dedicata a Nino Bertoletti alla Galleria d’Arte Moderna (fino al 14 settembre 2025) rientra esattamente in questa categoria: un progetto che riordina, ricostruisce, e soprattutto riconduce l’attenzione su una figura colta, appartata, ma tutt’altro che marginale nel panorama artistico del Novecento italiano. Pier Paolo Pancotto, curatore dell’iniziativa, ha scelto di non alterare il profilo dell’artista. Al contrario, lo ha riportato alla luce per quello che fu: un autore schivo, articolato, appartato ma non periferico. Bertoletti non fu un innovatore nel senso rivoluzionario del termine, ma un uomo di cultura nel senso pieno, che attraverso la pittura ha esplorato le possibilità dell’arte figurativa con attenzione, rigore, misura. Il suo mondo, come ricorda il percorso espositivo, è fatto di paesaggi discreti, di interni silenziosi, di ritratti senza retorica. L’allestimento si segnala per un’ottima lettura cronologica e per un’illuminazione che non forza le opere, lasciando parlare le superfici, le tonalità, le impaginazioni delle tele. L’esposizione si apre con i lavori della giovinezza, dipinti tra il 1902 e gli anni Venti: quadri ancora legati a un’espressionismo controllato, più di impianto mitteleuropeo che mediterraneo, in cui emerge un giovane artista che guarda all’arte come esercizio etico, prima ancora che estetico. Ma è tra gli anni Venti e Trenta che Bertoletti matura una scrittura pittorica personale, più stabile, come se il suo linguaggio prendesse finalmente forma nella quieta intensità della composizione.
Le opere realizzate in questo periodo, visibili nella seconda sala, parlano di un artista che predilige la riflessione all’enfasi, la chiarezza dell’impianto al virtuosismo, e che sembra sempre voler domare l’immagine con la mente, prima che con il pennello. Il punto di svolta, e anche la parte forse più interessante della mostra, è rappresentato dalla produzione del secondo dopoguerra. Qui il realismo di Bertoletti, pur conservando il proprio ordine, lascia filtrare una luce diversa: più interiore, più esistenziale. I soggetti si fanno simbolici: paesaggi e nudi che rimandano a un classicismo antico, eppure reinterpretato, come se l’artista cercasse nell’antico non il rifugio, ma un archetipo. Un aspetto poco noto, ma ben valorizzato in mostra, è la sua produzione grafica e illustrativa. Questi fogli, in parte presentati a parete e in parte sfogliabili in riproduzione, rivelano un lato più diretto del suo operare. Un disegno essenziale, nitido, che guarda alla linea come a un elemento narrativo e non solo formale. Bertoletti fu anche collezionista, mercante e osservatore critico del suo tempo: e ciò si riflette in una pittura che è sempre anche commento, lettura, risposta al presente. Il catalogo edito da Dario Cimorelli Editore accompagna degnamente la mostra, con saggi puntuali e ben documentati. Non si tratta, fortunatamente, di una pubblicazione ridondante, ma di un lavoro editoriale che restituisce serietà alla critica d’arte.
Segno che l’operazione non si limita al recupero museale, ma tenta un inserimento pieno di Bertoletti nel tessuto storico e culturale italiano. Non manca in mostra la figura discreta ma centrale di Pasquarosa, sua compagna di vita e di arte. Ritratta in molti dipinti, Pasquarosa non fu solo musa, ma interlocutrice culturale, pittrice lei stessa, presenza viva e compartecipe. Nelle sue sembianze, che cambiano con gli anni – da giovane modella a figura domestica, fino a donna anziana – si legge anche la continuità di una poetica dell’affetto che in Bertoletti non fu mai decorativa, ma necessaria. Una nota meritano infine le scelte espositive: le opere non sono costrette in griglie o didascalie invadenti, ma respirano, e questo aiuta la lettura del percorso e del pensiero visivo dell’artista. Anche l’illuminazione è equilibrata, mai invasiva, segno di un rispetto raro per la superficie pittorica. In tempi in cui l’allestimento tende spesso a rubare la scena all’opera, qui si è scelto il contrario: lasciare parlare i quadri, e ascoltarli. Sarebbe vano cercare in questa retrospettiva uno stile dominante o una cifra univoca. Bertoletti, artista colto e riflessivo, ha attraversato stagioni diverse, ma sempre con la medesima discrezione. Non si è mai imposto, ma ha tracciato una traiettoria coerente, fatta di costanza, cultura, ricerca. Questa mostra non lo trasforma in un maestro riconosciuto, e non lo pretende. Ma restituisce, con onestà e precisione, la figura di un uomo che ha saputo coniugare arte e pensiero senza cadere nell’esibizione. Un artista la cui opera non cerca l’effetto, ma l’equilibrio. E oggi, in un tempo così rumoroso, questo è già molto.
Roma, Museo di Arte Contemporanea: “Nino Bertoletti 1889-1971”
