Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
IL MEDICO DEI MAIALI
con Luca Bizzarri, Francesco Montanari, David Sebasti, Mauro Marino
testo e regia di Davide Sacco
scene Luigi Sacco
costumi Annamaria Morelli
luci Luigi Della Monica
musiche Davide Cavuti
aiuto regia Claudia Grassi
amministratore di compagnia Luigi Cosimelli
Ente Teatro Cronaca, LVF-Teatro Manini di Narni
Roma, 24 aprile 2025
Davide Sacco si muove come un rabdomante nella terra desolata del Potere. E nel suo Medico dei maiali, in scena al Teatro Quirino, cesella – tra le pieghe di Shakespeare e le fenditure gelide di Carl Schmitt – una favola nera che odora di stalla, di morte, di sovversione impossibile. Qui il Potere è una peste sottile: chi lo sfiora, chi tenta di guarirlo, ne resta contaminato irrimediabilmente. La scena si apre su un’immagine quasi beckettiana: un corpo in ginocchio, la resa e la morte consumate in pochi battiti d’occhio. “THE KING IS DEAD”, sibila il neon livido sopra le nostre teste: e già tutto è compiuto, già tutto è compromesso. Un re d’Inghilterra, mai nominato, cade trafitto non da un nemico ma da mani fidate, da consiglieri che si proclamano salvatori della patria. Nulla di nuovo, penserete. Eppure Sacco, con una lingua che frusta e accarezza, che si fa bisturi e veleno, ci racconta l’eterno ritorno della dissoluzione morale con una freschezza tanto feroce da sembrare antica. Per certificare la morte del sovrano – e il suo assassinio che deve restare impunito – non c’è un medico di corte, bloccato dalla tempesta. Arriva invece un veterinario di maiali (un meraviglioso Luca Bizzarri, capace di affondare il suo talento comico in una recitazione di acciaio e tenerezza), improvvisato coroner, testimone e al tempo stesso artefice di una rivoluzione abortita.
Il suo avversario designato, Francesco Montanari, interpreta il principe ereditario Eddy: idiota, cocainomane, involontario clown vestito da nazista a un gay pride. Un Enrico V capovolto, che all’ardore idealista sostituisce la vanità fatuamente criminale. E in questo ribaltamento, Sacco piazza il suo capolavoro: Eddy, pupazzo nelle mani del veterinario, inizia a respirare il profumo inebriante del comando, mutando in tiranno il suo ghigno ebete. Sacco orchestra questo duello di metamorfosi – tra servo e padrone, tra burattinaio e burattino – con una scrittura che evoca, più che imitare, Shakespeare: il suo Riccardo III, il suo Enrico IV, ma anche la putrefatta bruma di Macbeth. E il riferimento a Schmitt non è affettazione, ma grimaldello: se il Potere è decisione sovrana, qui ogni decisione è già corrotta nella sua origine. Ogni scelta, ogni movimento è destinato a produrre altro fango. La regia, chirurgica e trattenuta, non indulge mai nel compiacimento.
La scena di Luigi Sacco è scabra, soffocante come una stanza d’albergo in Galles sotto un cielo nero di pioggia, mentre le luci di Luigi Della Monica tagliano le figure come lame chirurgiche: non vi è scampo, né riparo. Solo il lento, irresistibile sprofondare nella spirale del dominio. Che cos’è, allora, Il medico dei maiali? È una fiaba oscena sulla impossibilità di redimere il potere; è una risata soffocata nel gorgo di una modernità in putrefazione. È, soprattutto, un apologo tragico su quel momento impercettibile – e fatale – in cui il carnefice scopre di amare il proprio potere più della propria umanità.
Davide Sebasti e Mauro Marino, interpreti dei consiglieri assassini, innestano nelle pieghe della narrazione una dimensione ancora più torbida: quella della ragione di Stato, della necessità superiore che giustifica ogni crimine. E intanto il pubblico, inchiodato a una claustrofobia teatrale impeccabile, assiste alla progressiva scomparsa dell’innocenza. C’è qualcosa di irrimediabilmente nostro in questa Inghilterra fittizia, in questo teatro della crudeltà che ha il passo felpato di una commedia e il morso avvelenato di una tragedia. Come non pensare, dietro il costume da nazista di Eddy, allo scandalo che travolse il principe Harry? Come non riconoscere, nei ghigni e nelle smorfie dei potenti, l’eco grottesca delle nostre democrazie svuotate? Alla fine, resta solo il silenzio. Un silenzio colpevole, malsano, pieno di quei pensieri inconfessabili che lo spettacolo ha saputo suscitare. Il medico dei maiali non pretende di offrire soluzioni. Non predica, non consola. Ma incide – con la precisione di un chirurgo crudele – una domanda nella carne viva dello spettatore: siamo anche noi parte di questo meccanismo? E se sì, a quale prezzo? È uno di quegli spettacoli rari, necessari, che riescono a raccontare la miseria e la grandezza dell’essere umano senza filtri, senza orpelli, senza bugie. E per questo, come accade con i veri capolavori, ci costringe – una volta usciti dal teatro – a camminare più lentamente, a pensare più a lungo, a guardare negli occhi la nostra personale ombra.
Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Il medico dei maiali”
