Torino: Il Concerto di Pasqua dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI diretta da Ottavio Dantone

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino, Concerto di Pasqua.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Ottavio Dantone
Voce fuori campo Mario Acampa
Franz Joseph Haydn: “Le ultime sette parole di Cristo sulla croce”. Hob XX.1 (versione per orchestra 1787)
Torino, 18 aprile 2025
A Cadice, estremo e ricchissimo porto del meridione occidentale della Spagna, pista di lancio per le traversate atlantiche, fin dal ‘600 si allestiva in chiesa, nel giorno del Venerdì Santo, il rito con cui, recitando le ultime parole di Cristo, si occultavano progressivamente, con panni violacei, crocifissi e porte. Il rito, creato in Perù dai gesuiti, ai tempi dell’invasione cattolica, era tornato e si era riaffermato anche in madrepatria. Si svolgeva con la citazione progressiva delle parole che i Vangeli assegnano al Crocifisso, seguite da varie pause arricchite da prediche, meditazioni e musiche per forzare i fedeli a coinvolgersi nella cerimonia. Il canonico, José Sáenz de Santa Maria, fondatore e rettore dell’Oratorio della Santa Cueva di Cadice, nel corso del 1786, chiese ad Haydn una musica adatta allo scopo. Il compositore, tra i più noti dell’Europa d’allora, libero da impegni, era ormai da mesi in congedo da Hesteraza, compose 7 “adagi” di una decina di minuti l’uno, preceduti da un’Introduzione e chiusi da un folgorante e tragico, oltre che rumorosissimo, Terremoto. La composizione per orchestra di archi, legni, ottoni e timpani, si poté eseguire a Cadice per la celebrazione del Venerdì Santo del 1787. Ognuno dei 7 Adagi denominati Sonata, portano sovrascritta alle prime battute, che ne costituiscono il tema, la parola / frase di riferimento; l’elaborazione di questo inizio viene poi condotta secondo le regole canoniche della forma sonata che Haydn stesso aveva, nel passato, ben strutturato. Contemporaneamente alla composizione orchestrale, l’editore convinse il compositore a prepararne una per Quartetto d’archi, molto più vendibile e quindi redditizia. Seguiranno rielaborazioni per tastiere e, una decina d’anni dopo, la nota versione oratorio con testi elaborati dal Barone Gottfried van Swieten, il massone librettista della Creazione e delle Stagioni. Di oro peruviano, frutto dei saccheggi dei Conquistadores, a Cadice ce n’era ancora e con parte di quello il Canonico Sáenz de Santa Maria farcì il dolce che spedì soddisfatto ad Haydn per rimunerarne il buon lavoro compiuto. Lo stesso compositore confessò comunque quanto fosse stato arduo rispettare la richiesta di una successione di sette adagi; da qui l’impegno a creare temi icastici e ficcanti che permettessero rielaborazioni tanto variate da mantenere viva l’attenzione, se non anche la concentrazione dei convenuti in chiesa. Ottavio Dantone e l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, ancora una volta, colgono il bersaglio. La preoccupazione di poter annoiare il pubblico la confessa, in un’intervista, anche il direttore svelando la necessità di un impegno ad esaltare le variabili del percorso. Ogni più piccolo segno della partitura viene quindi esaltato e, grazie alla fantastica Orchestra Nazionale RAI, i singoli pezzi si animano di sorprendenti sfumature, in un inarrestabile caleidoscopio di colori. Gli archi la fanno da padroni, con un suono allo stesso tempo compatto, chiaro e trasparente. I fiati, legni e corni, contribuiscono all’incessante arricchimento timbrico che si parallela a quello strutturale e ritmico della scrittura di Haydn. Emerge poi, con numerosissimi interventi solistici, il meraviglioso oboe di Nicola Patrussi e, con minor frequenza ma con altrettanto preziosismo, il flauto di Gianpaolo Pretto. La visione di Dantone non porta alla descrizione tragica di quanto narrato dal Vangelo e richiamato dalla voce fuori-campo di Mario Acampa, ma a una contemplazione mesta e partecipe di avvenimenti, seppur passati, che ancora suscitano tristi e malinconici ricordi. Haydn non ha di certo mai assistito alle settimane sante andaluse, come invece crediamo sia successo al Maestro Dantone. Da qui il ricordo di quanto il sacro, la mestizia, e anche la tragicità faccia tutt’uno con la mondanità, anche festosa, delle sfilate processionali. Nel corso della Sonata II°: amen dico tibi, hodie mecum eris in paradiso, le note puntate e le quartine rincorrenti, dopo il passaggio al DO maggiore, possono rimandare a gruppi festosi ed elegantissimi che, con intima soddisfazione, provano il sollievo portato dal Paradiso che s’è aperto al buon ladrone. Ugualmente emozionante nella Sonata V° sitio, la più tragica, dove, come introduzione e contrappunto alla reiteratissima discesa delle due note che ne fanno il tema, si oppongono gli archi con un pizzicato insistito, quasi uno stizzoso cicaleccio della folla nei confronti degli odiati aguzzini che rifiutano il sorso d’acqua al morente. Nel Terremoto finale, c’è il colpo a sorpresa che desta animi e corpi con la forza di una massa sonora imponente. Clarinetti, corni e timpani, rimasti quasi silenti fino a questi pochi minuti finali, si scatenano in accordi e scalette a quattro f. Come quando, a Siviglia, la processione con la sua banda gira l’angolo e proietta sull’ignaro turista, fiaccato dalla lunga attesa, la contundente colonna di suono di tamburi e bombarde. Un’ora di bella musica, formidabilmente eseguita, con un pubblico soddisfatto che si congeda tra applausi e vicendevoli auguri di “Buona Pasqua”.