Torino, Teatro Regio: “Pikovaja Dama” (La dama di picche)

Torino, Teatro Regio Stagione d’opera 2024 – 2025
PIKOVAJA DAMA “ (La dama di Picche)
Opera in tre atti e sette scene su libretto di Modest Il’ič Čajkovskij dall’omonimo racconto di Aleksandr Sergeevič Puškin
Musica di 
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Hermann MIKHAIL PIROGOV
Il conte Tomskij ELCHIN AZIZOV
Il principe Eleckij VLADIMIR STOYANOV
Čekalinskij ALEXEY DOLGOV
Surin VLADIMIR SAZDOVSKI
Čaplickij, giocatore, maestro di cerimonia 
JOSEPH DAHDAH
Narumov, giocatore VIKTOR SHECHENKO
Contessa JENNIFER LARMORE
Liza ZARINA ABAEVA
Polina DENIZ UZUN
La governante KSENIA CHUBUNOVA
Maša IRINA BOGDANOVA
Il piccolo comandante voce bianca LUCA DEGRANDI

Orchestra, Coro e Coro di voci bianche del Teatro Regio di Torino
Direttore Valentin Uryupin
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Direttore del coro di voci bianche Claudio Fenoglio
Regia 
Sam Brown
Scene e Costumi Stuart Nunn
Coreografia Angelo Smimmo
Luci 
Linus Fellbom
Allestimento Deutsche Oper di Berlino
Torino, 3 aprile 2025
La Dama di Picche che in questo inizio di aprile, per la seconda volta dopo la memorabile edizione Noseda – Krief del 2009, va in scena al Teatro Regio si conferma qual è un grande e multiforme polittico, unificato dalla potente campitura musicale di Čajkovskij. In un continuo variare di scene e di ambienti, emergono Hermann e Liza i personaggi che, con l’anziana Contessa, ne sono gli straziati protagonisti. I bambini e le governanti nel parco, gli irridenti commilitoni di Hermann al tavolo da gioco, l’apparato nobiliare e la Zarina, Polina e le sue amiche diventano parte corale di una gigantesca sinfonia patetica che comunque, fin dall’Introduzione orchestrale, impone un clima oscuro e ansioso che neppure nel Requiem finale troverà la sua catarsi. La regia che si dice Sam Brown abbia ripreso da un’idea originale di Graham Vick, si appiattisce sull’ormai bolsa tradizione dei neon e delle proiezioni in bianco-nero che non illustrano e ancor meno emozionano. Il racconto avanza quindi abbastanza piatto e non si giova dell’aggiunta di un qualche innocuo tocco “alla moderna”. Sorprendente ed apprezzabile la trasformazione, possibile per l’intenso e indiscutibile fascino di  Jennifer Larmore, della vecchia e cadente Contessa in maliosa adescatrice sexy. Le scene di Stuart Nun, come le luci di Linus Bellbom risultano vivaci e ben funzionali allo spettacolo. Sempre di Stuart Nun sono i costumi che, se esaltano la “rivisitazione” glamour della Contessa, non sono altrettanto efficaci nel vestire Liza. Se si cercasse lo stile Vick lo si potrebbe forse solo trovare nei movimenti coreografici dei due atti finali, in cui il coreografo Angelo Smimmo sicuramente rimanda al Tell del ROF 2013. Nonostante la presentazione da parte del Maestro di cerimonie, è stata brutalmente tagliata la “pastorelleria” mozartiana dell’atto secondo. La rinuncia a questa parentesi settecentesca è tutt’altro che indolore: per Čajkovskij, mozartiano viscerale, costituisce, in quest’opera onnicomprensiva, una parte non secondaria di un suo ipotetico autoritratto artistico e spirituale. L’esecuzione sconta la più che eccellente prestazione dei Cori, compreso quello di voci bianche del Teatro Regio, che Ulisse Tabacchin e Claudio Fenoglio conducono con la nota perizia, pur nei trambusti di un affollatissimo palcoscenico che, specie nella scena iniziale, ne ingarbuglia le file. L’Orchestra del Teatro Regio ha ben sostenuto l’immane partitura che, per molti aspetti, è pari a quella di una grande sinfonia con voci. Gli ottimi orchestrali, sempre affossati e invisibili, vengono tradizionalmente trascurati rispetto a chi agisce in scena. I legni, le prime parti e le file, gli archi, i violoncelli e le viole in specie, sono stati a tutti gli effetti assolutamente determinanti al buon esito. In un punto specifico del finale primo, Liza piange e Čajkovskij sul rigo del primo cello scrive in italiano: molto espress.piangendo: la commozione è giunta in sala. La direzione di Valentin Uryupin, sicuramente efficace e tecnicamente agguerrita, soffre di una visione più episodica che unitaria. Ricordando la coinvolgente e inarrestabile spirale emotiva della precedente edizione, si passa qui di scena in scena senza un reale continuum sinfonico. Scoppi sonori a fine scena cercano di animare delle non supportate steppe ghiacciate cui la sola eccellenza di strumentisti e cantanti dà vita. La compagnia di canto è eccellente quando non eccezionale. Mikhail Pirogov, Hermann, è tenore essenzialmente lirico che, pur non sottraendosi all’eroismo di alcune frasi, umanizza strepitosamente il personaggio. Il timbro è virilmente piacevole, così come è notevole la correttezza di intonazione e di fraseggio. Sulla follia e sulla disperazione di Hermann esercita il controllo tipico di chi interiorizza, senza placarle, le proprie angosce. Il pubblico l’ha molto apprezzato e applaudito. Zarina Abaeva, Liza, soprano lirico dai magnifici centri. Il timbro dolce ne fa un carattere remissivo e fragile. Nell’aria dell’ultimo atto, sulla sponda della Neva, ha modo di farsi ammirare per delle doti non comuni di tecnica e di fraseggio. Trova qualche difficoltà nel duetto del primo atto con Polina, Deniz Uzun: le due pare che cantino con sistemi tonali paralleli ma non coincidenti. Polina, sempre la Uzun, esegue poi magnificamente, con le giuste bruniture, la sua canzone Carissime mie amiche. Il reparto femminile si arricchisce della fama e del fascino intatto della Contessa di Jennifer Larmore. L’aria di Gretry, che lei bisbiglia prima di addormentarsi, ben sopporta gli strali di molte stagioni passate su palcoscenici di tutto il mondo. Il conte Tomskij trova in Elchin Azizov, un inappuntabile e fascinoso interprete dalla voce bella, timbrata e sfogata che corre con facilità per tutto il teatro. Determinante l’apporto che Vladimir Stoyanov dà all’innamorato e poi vendicativo Principe Eleckij. Voce chiara, sonora, dal timbro assolutamente accattivante e dalla tecnica sopraffina. Completano l’apprezzabile elenco Alexey Dolgov come Čekalinskij e il Surin di Vladimir Sazdovski. Una certa ilarità divertita l’ha suscitata l’autoritaria governante, con frustino, di Ksenia Chubunova. Irina Bogdanova è la cameriera della contessa e Joseph Dahdah con Viktor Shevchenko completano con efficacia il lotto dei giocatori. Il pubblico della prima ha approvato incondizionatamente tutti gli esecutori musicali. Segnata da particolare riconoscenza e affetto è stata poi l’accoglienza riservata alla Larmore. Gli artefici della parte visiva, con gli applausi, si sono dovuti subire anche uno spento e silenziato mugugno: è il massimo di disapprovazione a cui ardisca il pubblico subalpino. Foto Mattia Gaido