Bologna, Teatro Comunale Nouveau: “Così fan tutte”

Bologna, Teatro Comunale Nouveau, Stagione Opera 2025
COSÌ FAN TUTTE
Dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Fiordiligi MARIANGELA SICILIA
Dorabella FRANCESCA DI SAURO
Guglielmo VITO PRIANTE
Ferrando MARCO CIAPONI
Despina GIULIA MAZZOLA
Don Alfonso NAHUEL DI PIERRO
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Martijn Dendievel
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Regia e scene Alessandro Talevi
Costumi Stefania Scaraggi
Luci Teresa Nagel
Video Marco Grassivaro
Regista assistente e coreografo Danilo Rubeca
Maestro del Fortepiano Nicoletta Mezzini
Bologna, 25 maggio 2025
Dulcis in fundo: Così fan tutte chiude la felice trilogia Mozart-Da Ponte e Dendievel-Talevi. Un’opera dal soggetto, caso raro, originale: ma intrisa, e ai massimi livelli, di letteratura, in un sofisticato intrico di citazioni e ammiccamenti letterario-filosofici, tal da trovare un possibile termine di paragone, forse, nel solo Rosenkavalier. Le dame ferraresi (dal nome della prima Fiordiligi, Adriana Ferrarese, però veneziana) si portano dietro gli ovvî Orlandi di Boiardo e d’Ariosto. Fiordiligi, in ambo i poemi, è la sposa fedele di Brandimarte. Doralice, pur presente in entrambi, è nel Furioso inizialmente promessa a Rodomonte, poi però amante di Mandricardo, almeno finché questi non viene ucciso da Ruggiero: «per lei buono era vivo Mandricardo: / ma che ne volea far dopo la morte?» (XXX). Ecco l’antenata di Dorabella, secondo la quale «Tra un ben certo, e un incerto, / c’è sempre un gran divario!».
D’altro canto il «vecchio filosofo» porta il nome del celebre Duca di Ferrara, Alfonso. Anche se «la scena si finge in Napoli», dove spira lucreziana aria d’epicureismo, d’ellenismo manierato e forse un po’ decadente, distaccato e sornione. La classicità è comunque di casa con Ovidio, che nelle sue Metamorfosi (VII) racconta di Cefalo, che, mutato d’aspetto, seduce la propria moglie Procri. Né si può mancar di citare la disfida fra Bernabò ed Ambrogiuolo, che scommettono sull’infedeltà di Ginevra, moglie del primo, nella seconda giornata del Decameron. O la celebre novella anomala che apre la quarta, detta «delle papere»: non è forse esemplificativa del pensiero di Don Alfonso? E poi, oltre il libertinismo filosofico così letterariamente condito di un libretto saturo di vezzosi petrarchismi, e poi, oltre a tutto questo, c’è la musica. Per dire l’infinito che contiene un capolavoro. Alessandro Talevi sposta l’azione su un’isola, in cui uno stravagante e forse strafatto guru (il don Alfonso di Nahuel Di Pierro, tanto morbidamente e soffusamente timbrato da parer, a tratti, sfocato) introduce giovinotti di buona famiglia, e soprattutto di buoni principî, alle filosofie orientali; e lo fa sottoponendoli a curiose prove iniziatiche: come, per esempio, scambiarsi le fidanzate. Se l’isola è una condizione esistenziale, l’ambientazione temporale, invece, conta: negli Anni 60 i giovani ci entrano rigidi e formali per uscirne beatnik e figli dei fiori. Barbe e baffoni nei ragazzi, capelli sciolti e look Woodstock nelle ragazze: sono i segni della rivoluzione morale impressa dal guru Alfonso. E Despina? Più convenzionale, forse incerto il trattamento riservatole dal regista. Sarà per questo che Giulia Mazzola tende talvolta a caricare un po’ più del dovuto, con sottolineature espressive talvolta superflue, la sua fresca e brillante voce.Ma tornando alle coppie. Mariangela Sicilia dà incantevole prova di sé, soprattutto nel suo Rondò del second’atto Per pietà, ben mio perdona: con il consueto timbro di “panna montata”, morbido e corposo, rotondo e dolce, e fiati semplicemente sognanti. Complice l’abile concertazione del valoroso Dendievel. Che attacca con inaspettata delicatezza la Cavatina di Ferrando Tradito, schernito: Marco Ciaponi aggiunge a nettezza dell’articolazione e candore del timbro una irresistibile camminata molleggiata, parte del suo travestimento hippy. Francesca Di Sauro sfodera un mezzo vocale di belle proporzioni, dal timbro bronzato e fiero; anche scenicamente appare decisamente a suo agio. In Vito Priante un fraseggiare accorto e vivace incontra un calore e una pastosità timbrici invidiabili. Ma ancora abbastanza non si è lodata la direzione di Martijn Dendievel: sagace, brillante, ricca di vita e d’inventiva. Oculatissima la gestione dell’equilibrio acustico, in favore sempre delle voci; cercando anche di asciugare gli archi per far emergere certi punteggiamenti degli ottoni, e specie dei corni (cui in questo titolo Mozart ricorre anche soltanto in ragione del facile gioco di parole). Elastico nei tempi, trova originali articolazioni della frase musicale, sempre guizzante. Com’era facile pronosticare già dalle Nozze del 2023, questa Trilogia è, piaccia o no, l’evento teatrale di maggior rilievo dell’Era Nouveau. Foto Andrea Ranzi