Madrid, Teatro Real, Temporada 2024-2025
“LA FIABA DELLO ZAR SALTAN”
Opera in un prologo e quattro atti su libretto di Vladimir Belski, basato sul racconto folklorico in poesia di Aleksandr Pushkin
Musica di Nikolai Rimski-Korsakov
Zar Saltan ANTE JERKUNICA
Zarina Militrissa SVETLANA AKSENOVA
Tkačicha STINE MARIE FISCHER
Povaricha BERNARDA BOBRO
Babaricha CAROLE WILSON
Zarevic Gvidon BOGDAN VOLKOV
Zarevna Lebed (Principessa Cigno) NINA MINASYAN
Un vecchio EVGENY AKIMOV
Messaggero ALEJANDRO DEL CERRO
Skomoroj ALEXANDER VASSILIEV
Marinaio ALEXANDER KRAVETS
Coro y Orquesta Titulares del Teatro Real
Direttore Ouri Bronchti
Maestro del Coro José Luis Basso
Regia e scene Dmitri Tcherniakov
Costumi Elena Zaytseva
Luci e videoproiezioni Gleb Filshtinsky
Nuova produzione del Teatro Real di Madrid, in coproduzione con il Théatre Royal de La Monnaie / de Munt. Commemorazione del 225o anniversario della nascita di Aleksandr Pushkin
Madrid, 8 maggio 2025
Che i registi del teatro musicale non credano (per lo più) alle favole e alla loro traduzione scenica, qualche volta può essere foriero di riflessioni molto interessanti. La fiaba dello zar Saltan è il perfetto racconto folklorico, tutto articolato da dinamiche soprannaturali e mezzi magici; per questo, la versione teatrale dell’opera di Rimski-Korsakov che subito torna alla mente è quella di Luca Ronconi, datata 1988, attenta a rendere visibile la crescita prodigiosa del principe Gvidon, che in pochi minuti diventa, da bebè, adolescente (nella memoria è una ripresa deliziosa, al Comunale di Firenze nel 1997). Un uomo di teatro come Dmitri Tcherniakov, esperto conoscitore del repertorio russo, capace di suscitare nel pubblico del teatro d’opera “inestinguibil odio” e “indomato amor” (in particolare, a Madrid si chiacchiera ancora del suo Don Giovanni, presentato nel 2013, al tramonto dell’era di Gerard Mortier), con lo Zar Saltan concretizza l’idea, molto
seria, di trasformare una fiaba popolare in narrativa terapeutica per curare un problema sociale come l’autismo. Giacché questo si realizza nel rispetto della partitura e del libretto, il merito artistico è ancor più grande. Tutto lo spettacolo si inquadra nella confessione iniziale di una madre, che presenta al pubblico il figlio autistico, unitamente alla propria disperazione; adesso – dice la donna – proverà a raccontargli una storia che lo riguarda, perché egli è stato abbandonato dal padre, esattamente come il protagonista dell’opera. Pertanto, il ragazzo autistico dagli abiti dimessi si identifica con il principe Gvidon (e la madre con la zarina Militrissa, naturalmente), vivendo in modo consapevole e sereno tutte le tappe del percorso di formazione; al termine dell’opera, però, quando lo zar incontra la sposa e il figlio per riconciliarsi con loro, il ragazzo soffre una violenta crisi epilettica e rifiuta il ricongiungimento. Forte dell’enigmatico coro finale («Ecco: così finisce la storia, ed è tutto quello che dovete sapere»), Tcherniakov sembra sconfessare il valore
curativo dell’arte, della narrazione, addirittura della comunicazione in generale. Lo spettacolo è un successo notevole prima di tutto perché riesce assai bene sul piano teatrale, grazie alle straordinarie doti di Bogdan Volkov: non solo quelle vocali di tenore squillante, dalla voce ben proiettata, ricca di armonici e sicura, ma anche di attore sotto costante sforzo di iperattivismo, per imitare la gestualità iterativa e spesso convulsa di un bambino autistico. Dalla sua immaginazione si sprigionano i disegni coloratissimi che fanno da fondale alle apparizioni delle creature magiche (il cigno, lo scoiattolo, i soldati che emergono dal mare), ma anche gli altri personaggi, ossia lo stuolo di donne malvage (le sorelle di Militrissa e la crudele Babaricha) e di uomini bonari e imbecilli, tutti raffigurati come burattini colorati a pennarello: i costumi di Elena Zaytseva rendono visiva la goffaggine di tutte le deliziose figurine. In ogni caso, l’elemento che rende possibile la perfetta fusione dei vari livelli narrativi ed estetici
è la musica di Rimski-Korsakov; il direttore francese Ouri Bronchti è autore di una concertazione accuratissima, possibile soltanto a chi abbia studiato la partitura con assiduità e in più occasioni. Per questo, riesce a esaltare la trasparenza dei temi più raffinati (quello della Principessa Cigno, in particolare), insistere sulla vivacità ritmica degli effetti imitativi (il Volo del calabrone, ça va sans dire), dinamizzare i momenti pompier più coinvolgenti (un solo caso, indimenticabile: la polifonia di ottoni che scandisce l’arrivo dei marinai al regno dello zar Saltan è così grandiosa e variegata nelle sonorità da sembrare un frammento di Janaček). La compagnia vocale è generalmente buona, anche perché tutti gli interpreti principali sono specialisti delle rispettive parti: evocativa dell’espressività popolaresca, tutta appoggiata “sul davanti”, incisiva e tagliente la vocalità delle tre antagoniste (Stine
Marie Fischer, contralto, la tessitrice, magnifica; Bernarda Bobro, soprano, la cuoca; Carole Wilson, mezzosoprano, Babaricha). Diverso il caso di Svetlana Aksenova, il soprano che interpreta la zarina Militrissa, perché la sua emissione ha un appoggio più solido, sebbene la cavata non sia sempre adeguata alle richieste. Il basso Ante Jerkunica è uno zar Saltan scenicamente perfetto, anche se la voce (abbastanza debole nel registro inferiore) incorre in piccole stonazioni. Il soprano Nina Minasyan dà voce a Lebed, la Principessa Cigno, con la giusta delicatezza nei vocalismi e nelle sfumature della difficile parte (vari attacchi risultano più che
ostici). Tra i comprimari spicca il tenore Evgeny Akimov, nella parte del Vecchio. Ottima la prova del Coro del Teatro Real, preparato da José Luis Basso. Al termine della recita, gli applausi vanno crescendo per tutti, e il pubblico di Madrid dimostra un apprezzamento completo per lo spettacolo, nell’unione di musica, canto e regia; successo dovuto, dal momento che questo Zar Saltan stimola soprattutto la riflessione. Nelle videoproiezioni in forma di disegni a carboncino che accompagnano l’interludio centrale del II atto si vede un bambino smarrito in mezzo a una folla che gli volge le spalle e lo ignora: allora, più che un brillante esercizio metanarrativo sulla salute pubblica, quella di Tcherniakov non sarà piuttosto una denuncia della scarsa responsabilità degli adulti nei confronti dell’infanzia? Foto Javier del Real © Teatro Real de Madrid
Madrid, Teatro Real: “La fiaba dello zar Saltan”
