Napoli, Teatro Bellini: “Morte accidentale di un anarchico”

Napoli, Teatro Bellini, Stagione 2024/25
“MORTE ACCIDENTALE DI UN ANARCHICO”
Commedia di Dario Fo e Franca Rame
Matto DANIELE RUSSO

La giornalista CATERINA CARPIO
Questore ANNIBALE PAVONE
Primo Commissario (Commissario Bertozzo) / Secondo Agente EDOARDO SORGENTE
Secondo Commissario (Commissario Sportivo) / Primo Agente EMANUELE TURETTA
Regia Antonio Latella
Dramaturg Federico Bellini
Scene Giuseppe Stellato
Costumi Graziella Pepe
Musiche e Suono Franco Visioli
Luci Simone De Angelis
Movimenti Isacco Venturini
Assistente alla Regia Mariasilvia Greco
Realizzazione Scene Alovisi Attrezzeria
Costumi realizzati presso il Laboratorio di Sartoria del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
Napoli, 28 maggio 2025
Il caso della Morte accidentale di Giuseppe Pinelli, anarchico e ferroviere, arriva al Bellini. La «farsesca» tragicità della Morte accidentale di un anarchico, commedia di Dario Fo e Franca Rame, riesce a sconvolgere anche la fisionomia della sala teatrale: essa assume, vagamente, la forma di un atipico «anfiteatro»: la platea viene occupata da uno spazio scenico in legno – progettato da Giuseppe Stellato e accuratamente illuminato da Simone De Angelis –, i cui contorni rimandano alla forma stilizzata del corpo dell’anarchico – piombato al suolo, nel 1969, da una finestra della questura di Milano. Un corpo che reca in sé la tragicità di un caso analogo, quello dell’italiano che – a New York, nel 1921 – precipita dall’edificio della polizia: un avvenimento che Dario Fo e Franca Rame, nel 1970, adottano come soggetto del lavoro teatrale – intendendo, però, fare riferimento alla «morte accidentale» del Pinelli. L’azione, al Bellini, viene trasferita al centro della sala – e, nell’ormai «ex» spazio scenico, sul palco, viene collocato un gruppetto di posti a sedere. Questo «sovvertimento», estetico e formale, reca in sé una forza espressiva estrema – non soltanto perché l’azione si svolge «sul» corpo legnoso dell’uomo, ma anche perché la nuova fisionomia del teatro consente agli attori di confondere, in modo irrimediabile, realtà «vera» e realtà «teatrale». Gli spettatori di teatro di prosa, oggi, sono un po’ avvezzi allo sfondamento, vagamente pirandelliano e no, della «quarta parete»: effettistica soluzione scenica, ricorrente in tante regie contemporanee. Però, questo elemento può ancora «sorprendere», soprattutto quando viene estremizzato o risolto drasticamente: ciò accade non soltanto sottraendo al palcoscenico la sua funzione originaria, ma anche integrando, sia pure parzialmente, gli spettatori nella rappresentazione; per esempio: a un certo punto della «conversazione» del Matto con il Questore, il Secondo Commissario e il Secondo Agente – gli spettatori, seduti nell’ex spazio scenico, vengono invitati a indossare dei berretti durante una momentanea chiusura di sipario, ritrovandosi innestati, dopo la riapertura del sipario, come «figuranti» nell’intreccio del lavoro teatrale e nei fatti raccontati. Quello di Fo e Rame è un linguaggio teatrale rivoluzionario – come afferma il dramaturg, Federico Bellini, in uno scritto inserito nel magazine del teatro (The Belliner, n. 43); e l’elemento artisticamente «rivoluzionario» della rappresentazione non è soltanto ravvisabile nel testo letterario in sé – determinato da momenti di «caustico» umorismo, da «notizie» oggettive riguardanti la «morte accidentale» dell’anarchico e da espressioni di carattere politico –, ma risiede anche nelle «modalità» attraverso cui avviene l’esposizione verbale del testo. Il regista Antonio Latella e il dramaturg Federico Bellini riescono, dunque, a dare evidenza al carattere «rivoluzionario» del lavoro teatrale, sottolineando la latente «drammaticità» di soluzioni apparentemente «farsesche» – come un’esasperata reiterazione di movimenti, coordinati da Isacco Venturini, e come una declamazione «vigorosa» e, a tratti, parossistica, sostenuta dai suoni cupi di Franco Visioli; elementi che, per esempio, hanno caratterizzato le notevoli prove attoriali di Edoardo Sorgente (Primo Commissario – Commissario Bertozzo / Secondo Agente) ed Emanuele Turetta (Secondo Commissario – Commissario Sportivo / Primo Agente). Soluzioni interessanti, dunque, perché utili all’estremo «rinvigorimento» del materiale letterario; soluzioni che, inoltre, consentono una definizione «drammatica» dei personaggi – il cui carattere «farsesco», però, appare costantemente percepibile, perché teatralmente animato dalla presenza di «pupazzi»: alter ego «inquietanti», che gli attori portano con sé. Emerge, inoltre, con estremo nitore, la figura del Matto – interpretato da Daniele Russo. L’attore realizza una costruzione scenica estremamente «realistica», e paradossalmente razionale, della figura: viene, pertanto, sottratta al clima generale, acutamente «farsesco», del lavoro teatrale. Un matto «razionale», dunque, che – grazie alle abilità, sceniche e vocali, dell’attore – riesce a fare sfoggio di un’elegante nonchalance, attraverso cui avviene la restituzione dei «personaggi», dal giudice al capitano della scientifica, al vescovo – che il Matto, assecondando le sue istrioniche manie, riesce a «interpretare»: «Ho la mania dei personaggi. Si chiama istriomania…», confessa candidamente al Primo Commissario, che lo sta interrogando. Notevoli sono, inoltre, le capacità dell’attore di alternare momenti di imperturbabilità a momenti di foga e veemenza. Parimenti ottimo l’attore Annibale Pavone, che dona agli spettatori un’interpretazione scenicamente efficace del Questore, anch’egli «avvinghiato» al suo alter ego inanimato. Nel ruolo di Maria Feletti, Caterina Carpio: l’attrice riesce a ritrarre validamente la giornalista – conferendo al tenace personaggio una fermezza emotiva, percepibile nell’incisività del linguaggio, e un comportamento scenico estremamente dinamico. Un personaggio interessante – l’unico a entrare in scena, e a «cantare» per un breve momento, sostenuto da un accompagnamento pianistico, sempre di Visioli; l’unico, inoltre, a indossare un costume colorato – in evidente e «metaforico» contrasto con il nero degli altri costumi, ideati tutti da Graziella Pepe. Il pubblico napoletano, composto anche da ragazze e ragazzi, accoglie positivamente il lavoro teatrale, tributando entusiastici applausi agli artisti. Foto Flavia Tartaglia