Novara, Fondazione Teatro Carlo Coccia, Stagione lirica 2025
“PRIMA DELLA SCALA”
Opera in un atto su libretto di Stefano Valanzuolo
Musica di Federico Gon
Zabatta DAVIDE LANDO
Nina ALINA TKACHUK
Ezio PAOLO NEVI
Lucilla YO OTAHARA
Silvano DOGUKAN OZKAN
Germano EMMANUEL FRANCO
“LA SCALA DI SETA”
Farsa in un atto su libretto di Giuseppe Maria Foppa
Musica di Gioachino Rossini
Dormont DAVIDE LANDO
Giulia ALINA TKACHUK
Dorvil PAOLO NEVI
Lucilla YO OTAHARA
Blansac DOGUKAN OZKAN
Germano EMMANUEL FRANCO
Orchestra Filarmonica Italiana
Direttore Francesco Pasqualetti
Regia Deda Cristina Colonna
Scene e Costumi Matteo Capobianco
Luci Ivan Pastrovicchio
Novara, 11 maggio 2025
In una primavera novarese povera di titoli operistici – il grosso delle produzioni si concentrerà in autunno – l’unico appuntamento è con l’ormai tradizionale progetto “DNA Italia” destinato all’allestimento delle farse rossiniane affidate in gran parte a cantanti dell’Accademia novarese. Si tratta quindi di produzioni destinate a giovani interpreti che vanno valutate tenendo conto del particolare contesto.
Il titolo rossiniano è preceduto – come ormai da tradizione nel progetto – da una breve opera appositamente commissionata con funzioni di prologo. In questo caso “Prima della scala” è soprattutto un’introduzione all’allestimento scenico su cui si tornerà. Vediamo un gruppo di circensi in lutto per la morte dell’impresario ma intenti a contendersi con ogni mezzo l’eredità. In realtà l’impresario Zabatta si è finto morto per mettere alla prova i suoi sottoposti e disgustato dal loro cinismo decide di vendere il circo e iniziare un’attività d’impresario teatrale ma in mancanza d personale si trova costretto a riassumere i suoi vecchi artisti per mettere in scena “La scala di seta”. La musica del nuovo lavoro è di Federico Gon è nel complesso risulta piacevole. Sfruttando bene un libretto di buona freschezza ritmica – di Stefano Valanzuolo – il compositore propone una partitura d’impianto tradizionale. La musica è tonale e guarda a modelli ben definiti – Nino Rota in primis – e gioca con richiami e citazioni operistiche. Il lavoro è breve, teatralmente vivace e nel complesso si ascolta con tranquillità ma manca di autentica personalità e non riesce a imprimersi. Con i due titoli eseguiti senza soluzione di continuità bastano poche note della sinfonia rossiniana per segnare uno iato incolmabile. Elemento unificatore è come accennato l’allestimento di Deda Cristina Colonna con scene e costumi di Matteo Capobianco che non solo rappresenta l’elemento di gran lunga più riuscito ma conferma l’alta qualità esecutiva ormai raggiunta dai laboratori novaresi.
L’ambientazione è circense – quasi metafora del funambolismo della musica rossiniana – e sostanzialmente atemporale. Manca infatti una collocazione cronologica precisa ed elementi di varia epoca si fondo con sostanziale naturalezza. Le bellissime scene riprendono la cartellonistica circense d’inizio Novecento ma anche le proiezioni delle lanterne magiche e non manca qualche ricordo felliniano. Tutto in bianco e nero nel prologo, di vividi colori nell’opera ma senza mai tradire l’unitarietà della cifra stilistica di fondo. Preciso e curato il lavoro attorale, fattore ancor più utile disponendo di una compagnia di cantanti nel complesso giovani e di scarsa esperienza.
Francesco Pasqualetti alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana offre una lettura brillante e dal buon ritmo teatrale ma manca di leggerezza di tocco confermandoci quanto sia difficile l’equilibrio formale della scrittura rossiniana. I cantanti vanno ovviamente valutati nell’ottica di un progetto formativo con le specificità che esso impone. Paolo Nevi subentrato al previsto Michele Angelini affronta Dorvil con una voce dal bel timbro squillante e con buona proiezione. E’ però ancora acerbo sul versante espressivo – manca soprattutto un po’ di abbandono lirico – e gli acuti tradiscono qualche durezza – forse dovuta alla stanchezza di due recite a neppure un giorno di distanza. Alina Tkachuk ci è parsa ancora immatura per Giulia. La voce è da soprano leggero e soffre in una parte di mezzo carattere come questa è purtroppo soverchiata dalle altre voci nei pezzi d’assieme. La dizione è perfettibile e sul versante interpretativo risulta manierata nonostante l’impegno. Emmanuel Franco nonostante la giovane
età vanta un’esperienza che manca ai colleghi. Presenza abituale su palcoscenici a Wexford e Bad Wildbad ha già affrontato il ruolo di Germano nell’edizione 2021 del festival tedesco – esiste registrazione discografica – e sia sulla quadratura stilistica sia sulle capacità interpretative si muove su un altro livello qualitativo che trova la miglior conferma nella facilità con cui snocciola i passaggi sillabati. Dogukan Ozkan dispone di una voce di basso potenzialmente interessante per robustezza e colore. Deve migliore sul piano dell’emissione – un po’ grezza – e su quello interpretativo. Manca ancora in lui una più profonda sintonia con lo stile rossiniano mentre il solido materiale gli permette di emergere nella scrittura più declamatoria dell’opera Gon con la sua spassosissima scena d’incantesimo. Timbricamente un po’ chiara ma musicalmente corretta e scenicamente simpatica la Lucilla di Yo Otahara mentre nelle brevi parti di Zabatta e Dormont Davide Lando si fa apprezzare per la chiarezza della dizione e la sensibilità dell’accento.