Roma, Casino dei Principi di Villa Torlonia
MARIO MAFAI E ANTONIETTA RAPHAËL. UN’ALTRA FORMA DI AMORE
a cura di Valerio Rivosecchi e Serena De Dominicis
promotori Roma Capitale, la Sovrintendenza Capitolina, Zètema, il Centro Studi Mafai-Raphaël
Roma, 22 maggio 2025
Ci sono mostre che tentano di restaurare la memoria con la stuccatura della retorica. Altre, più rare, che fanno ciò che l’arte dovrebbe sempre compiere: svelare. “Mario Mafai e Antonietta Raphaël. Un’altra forma di amore”, in programma dal 23 maggio al 2 novembre 2025 al Casino dei Principi di Villa Torlonia, è una di queste. Non soltanto un’esposizione, ma una stratigrafia sentimentale e pittorica, un’inchiesta condotta con gli strumenti dell’occhio e della materia, dentro la trama complessa di due vite intrecciate tra le macerie di un secolo e le fondamenta dell’arte italiana. I promotori – Roma Capitale, la Sovrintendenza Capitolina, Zètema, il Centro Studi Mafai-Raphaël – consegnano al pubblico una narrazione sobria ma rigorosa, affidata alla cura sapiente di Valerio Rivosecchi e Serena De Dominicis, che evitano ogni trionfalismo per restituire, semmai, la dimensione terrena e tumultuosa di una storia d’amore e d’arte. A cinquant’anni dalla scomparsa di lei e a sessanta da quella di lui, la mostra riporta a Roma non un semplice confronto, ma un corpo a corpo: due poetiche distinte eppure fuse in un’epica domestica, fatta di pennellate, gessi, silenzi e fughe. Mafai e Raphaël: il primo, romano, già precoce protagonista della scena artistica capitolina tra le due guerre, riconosciuto, accademizzato suo malgrado, e nondimeno refrattario all’ufficialità.
La seconda, ebrea lituana, esule e irregolare, scolpisce con la furia di chi ha troppo da dire e poco tempo per compiacere. Già questo basterebbe a giustificare il sottotitolo della mostra: “Un’altra forma di amore”. Perché di un amore incomposto, asimmetrico, ma profondamente produttivo si tratta. Un amore che si misura nei confronti plastici tra pittura e scultura, nel dialogo muto tra un fiore che appassisce e una madre che dà forma all’angoscia, nella dialettica instancabile tra chi lavora a levare e chi a sedimentare. Le sette sezioni del percorso espositivo – articolate sui due piani del Casino dei Principi – sono concepite come stanze della memoria e dell’invenzione. La prima, dedicata alla cosiddetta “Scuola di via Cavour”, chiama in causa anche Scipione, il terzo vertice di quel triangolo giovane e feroce che sfidò il Novecento imbellettato di classicismo. Qui il ruolo propulsivo di Antonietta è messo in chiaro: non musa, non comprimaria, ma scintilla teorica e formativa. Le opere esposte testimoniano un primo nucleo di pulsione creativa ancora informe ma già tagliente.
E l’allestimento, sobrio, lascia che siano i quadri a parlare, senza cornici storiografiche soffocanti. Nelle sale successive, si apre un doppio movimento. Da un lato, l’esplosione plastica delle sculture di Antonietta – alcune mai viste prima, come Angoscia n. 2, capolavoro di ostinazione e travaglio – dall’altro, le nature morte e le vedute urbane di Mafai, con quel loro tremore sottile, quasi febbrile, che pare sempre sul punto di sciogliersi nell’aria. Il confronto, volutamente asimmetrico, lascia emergere il non detto: la distanza stilistica non è disaccordo, ma grammatica coniugata al plurale. La sezione musicale – intima e marginale – rivela un altro tratto comune: la musica come lingua privata. Il Natura morta con chitarra o La lezione di piano non sono soltanto soggetti domestici, ma spartiti cromatici, veri e propri pentagrammi pittorici. Di grande finezza curatoriale la sezione “Una silenziosa sfida”, dove la mostra si fa partita a scacchi.
Autoritratti, nudi, disegni: stessi temi, esiti opposti. Mafai sceglie la dissolvenza, il non-finito, il velario malinconico. Raphaël incide, scolpisce, afferra. E proprio lì, dove sembrano allontanarsi, si toccano più a fondo. Il Ritratto di Simona (1932), qui esposto per la prima volta, è una prova di toccante dolcezza, e il video collocato nella stessa sala restituisce voci e sguardi che resistono al tempo. La stanza centrale del primo piano è tutta di Mario. Il concetto di “metamorfosi” regge come un architrave la sua traiettoria pittorica. Dai toni incantati del primo decennio al segno nervoso e astratto degli ultimi anni, si assiste a una progressiva rarefazione dell’immagine, non per fuga dalla realtà, ma per cercarne una verità più profonda, più carnale. I Mercati del Dopoguerra non sono cronaca ma epica della sopravvivenza. Poi è il turno di Antonietta. La sezione a lei interamente dedicata – Un viaggio nell’identità e oltre – è una sorta di contrafforte emotivo. I materiali sono spigolosi, ma la scrittura della Raphaël non è mai violenta: è piuttosto un grido scolpito, a tratti biblico, sempre necessario. Le sue opere non cercano il bello, ma il giusto. Viaggiano tra continenti, tra memorie e genealogie, e restituiscono una figura artistica che l’Italia ha troppo a lungo marginalizzato perché non conforme, non docile, non servile.
Il finale è un duetto. Una piccola sala raccoglie due quadri, due epitaffi d’amore: Ritratto di Antonietta nello studio di scultura (1934) di Mafai e Mario nello studio (Omaggio a Mafai) del 1966 di Raphaël. Due gesti postumi che si cercano oltre la vita. Le lettere autografe, selezionate da Sara Scalia, nipote degli artisti, rendono questo epilogo ancora più toccante. Non parole estranee, ma tracce, residui di voce che affiorano come impronte su un terreno dissodato. Il catalogo, affidato a De Luca Editori d’Arte, non è un mero apparato didascalico, ma un prolungamento della mostra, quasi un controcanto. E ciò che resta – uscendo dal Casino dei Principi – non è solo la memoria di due artisti, ma il senso di una lezione più ampia: che l’arte è forse l’unico luogo in cui l’amore non conosce separazione. E se Roma ha avuto un cuore – un cuore viscerale, fragile, generoso – lo si ritrova qui, nelle crepe delle pietre di Antonietta, nei rossi spenti dei fiori di Mario, e in quell’intimo sussurro di chi ha trasformato il quotidiano in battaglia, e la battaglia in bellezza. Ph. Monkeys Video Lab
Roma, Casino dei Principi di Villa Torlonia: “Mario Mafai e Antonietta Raphaël. Un’ altra forma di amore”
