Roma, Museo Ebraico
DONNE. STORIE DI DONNECHE HANNO INFLUENZATO IL MONDO
a cura di Michal Vanek, Olga Melasecchi, Lia Toaff e Michelle Zarfati
In collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica Slovacca in Italia, l’Istituto Slovacco e il Museo della Cultura Ebraica di Bratislava
Roma, 20 maggio 2025
«È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze, perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo.» — Anna Frank, “Il diario di Anna Frank”
In queste parole, annotate da una ragazza quindicenne in un nascondiglio di Amsterdam nel luglio del 1944, si condensa una delle più alte espressioni dell’umano sotto assedio. Il pensiero che, nel pieno della catastrofe, una giovane vita potesse ancora professare fiducia — e in quella fiducia riconoscere la propria umanità — costituisce il vero punto di partenza di ogni riflessione sulla memoria, sulla storia, sulla responsabilità. Proprio da questa disposizione interiore prende forma la mostra Donne. Storie di donne che hanno influenzato il mondo, ospitata dal 21 maggio al 1 settembre 2025 presso il Museo Ebraico di Roma. Realizzata in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica Slovacca in Italia, l’Istituto Slovacco e il Museo della Cultura Ebraica di Bratislava, l’esposizione si sviluppa come un itinerario biografico e critico, interamente dedicato a figure femminili che hanno segnato il secolo scorso. Non si tratta di una mostra celebrativa nel senso corrente del termine: il tono è sobrio, l’impianto rigoroso. L’approccio è storico e documentario, e il criterio selettivo è la rilevanza delle vite narrate rispetto a una domanda: cosa significa trasformare l’esperienza in testimonianza, e la testimonianza in cambiamento? A rispondere non sono le parole degli storici, ma le vite stesse. Tra le protagoniste selezionate compaiono donne ebree italiane che hanno lasciato un segno nei rispettivi ambiti: dalla scienza all’arte, dalla moda alla cultura. Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina, è il simbolo di una ricerca che ha saputo superare non solo le frontiere del sapere, ma anche le barriere ideologiche e le persecuzioni razziali. Elsa Morante, scrittrice di rara intensità, ha dato voce a una letteratura che non ha mai smesso di interrogare il dolore, il ricordo, la colpa. Franca Valeri, ironica e lucida, ha trasformato il palcoscenico in uno strumento di coscienza. Amelia Rosselli, poetessa, ha saputo tenere insieme l’abisso privato e la tragedia collettiva. Roberta di Camerino, nel mondo della moda, ha ridefinito il concetto stesso di eleganza come gesto identitario.
Accanto a loro, la figura della professoressa Ruzena Bajcszy, ricercatrice slovacca oggi novantaduenne, pioniera della robotica e dell’intelligenza artificiale, è testimone di un sapere che sa restare umano anche nelle sue forme più astratte. Curata da Michal Vanek, Olga Melasecchi, Lia Toaff e Michelle Zarfati, la mostra si avvale di fotografie, testi, documenti d’archivio, filmati. Un posto di rilievo è riservato alla senatrice a vita Liliana Segre, presente anche con un videomessaggio che accompagna il visitatore lungo il percorso. La sua frase — «Dare corpo alla memoria è il miglior concime per il terreno futuro» — non è un motto, ma una sintesi etica. Una voce accanto all’altra, queste figure delineano una geografia etica che attraversa persecuzioni, rinascite, conquiste e silenzi. Il gesto curatoriale è misurato, antiretorico: la verità, per essere trasmessa, deve essere asciutta, essenziale, depurata dall’enfasi. L’asciuttezza del racconto è scelta stilistica e necessità morale: non amplifica, non abbellisce, non esibisce. Espone, affida, trasmette. Il valore più alto della mostra consiste forse in questo: nel mostrare che l’identità femminile, lungi dall’essere categoria secondaria della narrazione storica, ne è parte fondante.
E che ogni riconoscimento dei diritti non è mai un punto d’arrivo, ma un processo da difendere e rinnovare, giorno per giorno, scelta dopo scelta. In un tempo in cui la memoria rischia di farsi stanca liturgia o cifra d’oblio, Donne rappresenta un contrappunto civile: chiaro, composto, ineludibile. Il Museo Ebraico, con questa mostra, rinnova la propria funzione non solo conservativa ma formativa, proponendo un modello di storia come esercizio del pensiero critico. Una storia che non serve a celebrare, ma a comprendere. Non a rassicurare, ma a inquietare. Perché, come ci ricorda Anna Frank, persino nella notte più fonda può germogliare una speranza. E questa speranza si chiama, ancora oggi, conoscenza.
Roma, Museo Ebraico: “Donne. Storie di donne che hanno influenzato il mondo”
