Roma, Pavart Gallery: “Tra Battiti e Segni”

Roma, Studio di Architettura Francesco Anzuini & Sara Edalatkhah
Via Statilia 18, Roma
Artisti: Davide Cocozza e Igor Grigoletto
Curatrice: Velia Littera
TRA BATTITI E SEGNI
Roma, 14 maggio 2025
Nell’orizzonte instabile del contemporaneo, dove il linguaggio dell’arte muta pelle ogni giorno, Tra Battiti e Segni non si presenta come mostra, ma come esperienza incisa, come zona di attraversamento sensoriale e teorico, un cortocircuito visivo che prende corpo nello spazio pulsante dello Studio Anzuini & Edalatkhah, luogo architettonico e mentale, atelier d’idee più che contenitore di opere. Due artisti, Davide Cocozza e Igor Grigoletto, si confrontano senza sfiorarsi, eppure in dialogo serrato, quasi un montaggio alternato tra corporeità pittorica e sospensione segnica, tra corpi totemici e linee che sembrano emerse da un sonno profondo della mente. A tessere l’incontro, la curatela consapevole di Velia Littera, che orchestra il confronto come un duello rituale: l’uno affonda il pennello nella carne simbolica del vivente, l’altro graffia lo spazio con tracce disabitate, ridotte all’osso del pensiero. Cocozza porta in scena un bestiario umanizzato, una teoria di animali guardiani, testimoni muti della disgregazione ecologica ed etica. Ma attenzione: qui non vi è alcuna elegia naturalista, nessun sentimentalismo da calendario. I suoi animali — tigri, asini, ghepardi — sono icone mutanti, creature poste sull’orlo tra innocenza e condanna. I titoli stessi (Light My Fire, Like a Thoughtful Cheetah) sono formule magiche, aperture immaginali su un universo che mescola rock, rituale e invocazione. I loro occhi, carichi di uno sguardo quasi sacrale, non interpellano lo spettatore: lo inchiodano. Queste figure non imitano il reale, ma lo giudicano. Nel suo gesto pittorico si coglie la volontà di reintrodurre l’animale nel cuore della cultura, di ribaltare l’ordine simbolico che ha espulso la natura dal tempio della rappresentazione per sostituirla con l’umano come misura di tutte le cose. L’asino che vola non è una favola, è un’eresia iconica. La tela diventa manifesto. Il colore, attivismo. Dall’altro versante, Igor Grigoletto traccia sentieri nella nebbia. Le sue superfici, spesso in vetro, si offrono come membrane semantiche su cui si depositano segni minimi, quasi un battito di ciglia del pensiero. Il suo è un lavoro che si sottrae all’urgenza del dire: Sign, nella sua iterazione monocroma, non afferma nulla. Semplicemente è. Non rappresenta, ma convoca. Grigoletto non cerca l’effetto. Lavora nella zona cieca della visione, là dove la linea diventa rivelazione e il bianco non è sfondo, ma materia del silenzio. Il suo è un codice post-verbale, dove l’estetica si ritira per lasciare posto a una fenomenologia dell’assenza. Il vetro è superficie e insieme confine, è soglia tra mondo e mente. Nulla da leggere: solo da ascoltare. Eppure, nonostante la distanza formale tra i due, Tra Battiti e Segni si fa corpo unitario, sistema respiratorio a due polmoni. È una mostra che dichiara con eleganza e decisione il proprio j’accuse verso un mondo che ha smarrito la grammatica della convivenza: la coabitazione tra specie, tra linguaggi, tra segni. Se Cocozza espone il trauma della separazione dalla natura, Grigoletto ne decanta l’eco più sottile, quella che si insinua nei meandri dell’interiorità. In questa convergenza inattesa, l’empatia e la sottrazione non si annullano, ma si sostengono. Il primo invita a sentire, il secondo a disimparare. Entrambi, con strumenti differenti, rimettono al centro l’urgenza di tornare alla forma, non come puro esercizio estetico, ma come gesto etico, come atto fondativo. A rendere fertile questo incontro è lo spazio stesso: lo Studio di Architettura Francesco Anzuini & Sara Edalatkhah non è una semplice cornice, ma co-autore dell’evento. Architettura e arte, in questa circostanza, non convivono: dialogano, si interrogano, si contaminano. I segni di Grigoletto galleggiano nelle superfici, le creature di Cocozza sembrano varcare soglie, attraversare volumi, disturbare gli assi cartesiani dell’ambiente. È un’installazione relazionale, mai autoreferenziale. Un’intuizione curatoriale che si completa nella sinestesia di un wine tasting offerto da Cantina Menol, ulteriore soglia percettiva che invita il pubblico non alla fruizione passiva, ma a una presenza consapevole, multisensoriale, quasi liturgica. Tra Battiti e Segni è dunque una mostra necessaria, perché necessaria è oggi la riflessione su cosa significhi ancora vedere, sentire, abitare. È un attraversamento. Un esercizio di lucidità. Un grido sommesso che, nel silenzio rarefatto del vetro e nella presenza incantata degli animali, chiede all’arte di tornare a essere corpo, coscienza, eco. E di lasciare traccia.