Roma, Teatro Parioli Costanzo: “Noi Giuda”

Roma, Teatro Parioli Costanzo
“NOI GIUDA”
con Massimo Ghini
scritto e diretto da Angelo Longoni
Musiche originali composte da Paolo Vivaldi in collaborazione con Aldina Vitelli
aiuto regia di Lorenzo Rossi
video di Gianni Del Popolo
produzione Il Parioli
produttore esecutivo Enzo Gentile

Roma, 14 maggio 2025
Non ci sono colpe. O, se ci sono, sono troppo umane per essere condannate. “Noi Giuda”, scritto e diretto da Angelo Longoni, con un Massimo Ghini solo in scena ma mai solo nell’intenzione, è una lezione teatrale che scava, provoca, disorienta. Non è un monologo: è un interrogatorio senza tempo, un confronto impossibile tra memoria e presente, tra giustizia e necessità, tra condanna e compassione. Un attore, un testo, una voce che si fa carne: non per difendere, ma per farci ascoltare ciò che da secoli ignoriamo. Ghini non interpreta semplicemente Giuda. Glielo lascia dire. Lo accoglie, lo assorbe, lo restituisce. E in questo dialogo impossibile tra il tempo del Vangelo e il nostro presente secolarizzato e incerto, la figura più vilipesa della tradizione cristiana torna in scena con tutta la sua complessità. Non più solo il traditore, ma l’umano in frantumi, l’uomo che porta addosso il peso di un gesto che è al contempo necessario e inaccettabile. Si può essere colpevoli eseguendo un disegno divino? È la domanda che attraversa lo spettacolo come un fiume carsico, mai espressa davvero, ma continuamente evocata. Il testo, costruito come una lunga deposizione postuma, lavora sulle crepe della narrazione evangelica con il rispetto inquieto del dubbio. Longoni, drammaturgo fine e regista accorto, non cerca lo scandalo, ma lo slittamento di prospettiva. Non contesta il Vangelo, lo mette in tensione con l’esperienza umana. Giuda parla con ironia, a volte con dolcezza, più spesso con un dolore trattenuto che non cerca compassione ma verità. I trenta denari, il bacio, il suicidio: ogni dettaglio è interrogato, smontato, riletto come indizio di una versione alternativa. La conferenza diventa via via più confessione, più richiesta, più sfida. L’espediente registico della “conferenza” funziona perché non vincola, ma apre. Ghini ha il ritmo, il respiro, l’ascolto. Sa rallentare e poi colpire. La sua recitazione è tutta nei dettagli: nel peso dato a una parola, nella variazione di tono, nel silenzio che improvvisamente si allunga. Non c’è nessuna compiacenza, nessuna volontà istrionica. Ghini costruisce un personaggio che non ha bisogno di trasformismi ma di onestà. E la sua forza è proprio lì: nel non chiedere nulla allo spettatore, se non attenzione. In certi momenti, un sorriso appena accennato può ferire più di mille grida. In altri, una pausa prolungata dice più di qualsiasi lamento. Ghini domina il tempo della scena come un musicista che conosce il valore del silenzio. I video di Gianni Del Popolo, proiettati alle spalle dell’attore, non invadono, ma suggeriscono. Non illustrano, ma come giusto che sia disturbano. Si insinuano nella parola e la sporcano. Paesaggi biblici, deserti, volti moderni, brandelli di guerra: è come se il mondo attorno a Giuda si disgregasse e poi si ricomponesse in nuove forme. La musica di Paolo Vivaldi, con Aldina Vitelli, è sommessa, a tratti quasi impercettibile. Ma c’è. Accompagna, non commenta. Le luci di dello stesso Angelo Longoni creano un’atmosfera ovattata, intima, quasi domestica. Un altare spoglio dove il peccatore è anche sacerdote. La regia è minimalista, ma non arida. La scena è nuda, come il personaggio. Ogni elemento è funzionale a far emergere il testo e l’attore. Non ci sono effetti, ma affetti. La parola è regina. E la voce di Ghini la rende precisa, mai enfatica. Il suo Giuda è stanco, disilluso, ma non rassegnato. Vuole parlare, ancora una volta, prima di scomparire. Non chiede perdono, chiede di essere ascoltato. Longoni costruisce uno spettacolo che è più di una provocazione. È una carezza ruvida sul volto del dogma. Una riflessione sulla responsabilità, sulla colpa, sulla libertà. Ma anche sul potere della narrazione. Perché, ci suggerisce Giuda, chi racconta la storia ha sempre ragione. E allora, forse, vale la pena ascoltare anche chi la storia l’ha subita. “Noi Giuda” è teatro civile nel senso più alto. Non perché faccia prediche, ma perché prende sul serio lo spettatore. Gli affida domande, non slogan. Lo invita a pensare, non a reagire. E se alla fine usciamo dalla sala con un moto di simpatia per questo personaggio così odiato, allora qualcosa è successo davvero. Qualcosa che il teatro, quando è necessario, sa ancora fare: restituirci all’umano, anche quello più imperdonabile. Photocredit Massimiliano Fusco