Roma, Teatro Torlonia: “Racconti Romani. Circolo dei cuori infranti”

Roma, Teatro Torlonia
RACCONTI ROMANI
Circolo dei cuori infranti

dai testi di Alberto Moravia
con Paolo Cresta
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Roma, 11 maggio 2025 

C’è una Roma che non ha bisogno di essere mostrata, ma evocata. È la Roma dei vicoli mentali, dei pensieri inconfessati, delle malinconie sedimentate sotto l’intonaco della quotidianità. È quella che Alberto Moravia raccontava nei suoi Racconti romani, e che oggi torna a vivere grazie alla scena, al Teatro Torlonia, nel progetto Circolo dei cuori infranti, diretto da Lucia Rocco, interpretato da Paolo Cresta, e articolato in una tessitura narrativa che mette in dialogo tre tra i più celebri racconti dello scrittore romano: Non approfondire, La controfigura e Lo sciupone. Lungi dall’essere un adattamento tradizionale, Circolo dei cuori infranti è un’esperienza immersiva che coinvolge lo spettatore sin dal primo sguardo, sin dalla prima voce. Si abbattono le barriere canoniche del teatro: la platea non è più spettatrice silente, ma parte integrante di un incontro. Un incontro di storie, certo, ma anche di anime dolenti, solitudini condivise, frammenti d’identità che si specchiano nel vissuto altrui. Come suggeriscono le parole introduttive dello spettacolo, «chi parla non è un attore, ma uno di noi, che condivide la sua storia». E la storia non è mai solo quella che si narra, ma quella che si ascolta e si riconosce. L’ambientazione è scarna, volutamente sfumata: non c’è bisogno di scenografie didascaliche, perché è la lingua – e il corpo – a plasmare i luoghi. Roma appare e scompare come un miraggio urbano, come una cartolina logora degli anni Cinquanta, che ancora conserva il profumo acre di un tempo incerto. Non si cerca una ricostruzione realistica, bensì una sospensione, un habitat mentale in cui lo spettatore si muove come dentro una memoria collettiva. Lucia Rocco dirige con misura, scavando nelle pieghe del testo moraviano, rivelandone le nervature interiori più che la superficie. La scelta dei racconti è felice: ognuno mette in scena una diversa declinazione della sconfitta emotiva, della ricerca d’amore nel vuoto postbellico. I protagonisti sono uomini comuni – non eroi, non caricature – in bilico tra pulsioni e abbandoni, che si raccontano con un linguaggio semplice ma carico di sottotesti. Paolo Cresta dà corpo e voce a questi personaggi con un’intensità misurata, mai eccessiva, portando in scena non la teatralità ma la verità, non l’interpretazione ma la confessione. Moravia, del resto, con questi racconti aveva saputo innestarsi nel solco di una lunga tradizione di scrittori romani – dal Belli a Pascarella, da Trilussa fino alla narrativa più spiazzante del secondo dopoguerra – ma distanziandosi da ogni tentazione folcloristica. La sua Roma, pur popolata da figure popolari e piccolo-borghesi, è lontana dall’aneddoto: è laboratorio esistenziale. Scriveva Emilio Cecchi a proposito di Racconti romani: «Una quantità di personaggi che se ne stanno chiusi e saldati in una elementare, inarticolata realtà; in una sfera, in una categoria premorale… della nuda e crida vitalità». Ed è proprio questa “vitalità cruda” che Circolo dei cuori infranti restituisce, con pudore e precisione. Si avverte, nella costruzione registica, la volontà di non imbellettare il disagio, di non trasfigurare la frustrazione quotidiana in artefatto estetico. Tutto è concreto, eppure intimo. I personaggi si muovono su una linea invisibile che separa la confidenza dalla confessione, il parlato dalla rivelazione. C’è, in questo allestimento, una fiducia silenziosa nell’efficacia della parola. Non servono effetti, né scorciatoie emotive. La drammaturgia si regge su un equilibrio fragile e potente: la capacità di mostrare l’invisibile. In tal senso, il teatro non è più luogo dell’illusione ma della risonanza. Le sedute non sono più file di spettatori, ma un vero e proprio circolo – esistenziale prima che scenico – in cui ogni cuore infranto trova eco in quello accanto. L’interazione, sobria ma significativa, rende l’esperienza ancora più viva: un saluto, un gesto, uno scambio minimo diventano atti performativi. Il pubblico non è chiamato a recitare, ma a partecipare. La solitudine non è mai così sola, quando viene condivisa in uno spazio protetto, fatto di parole e ascolto. Questo spettacolo è anche un omaggio – sottile ma affettuoso – alla scrittura di Moravia, alla sua capacità di fotografare l’umano senza giudicarlo, di raccontare l’erosione del desiderio, la stanchezza della speranza, la fatica di vivere in una città che cambia, che si sfalda e che pure rimane la stessa. Una Roma moderna e “stralunata”, come scrisse lo stesso Moravia, alienata e vitale, dolente e piena di contraddizioni. Circolo dei cuori infranti non è solo un’operazione letteraria, ma un dispositivo teatrale che restituisce valore al tempo dell’ascolto e alla fragilità come risorsa. All’interno del più ampio progetto Racconti romani, curato da Emanuele Trevi ed Elena Stancanelli, lo spettacolo proietta il Teatro Torlonia come luogo di attraversamento culturale tra letteratura e scena, tra memoria e presente. È in questi incroci che il teatro si fa, ancora una volta, spazio di verità: lì dove il racconto di un altro si fa specchio, e ogni spettatore si scopre, se non consolato, almeno meno solo.