Roma, Terme di Caracalla
IMMAGINARE ROMA. LE PROSPETTIVE IMPOSSIBILI DI FRANCESCO CORNI
a cura di Elisabetta Corni e Mirella Serlorenzi
Enti promotori Soprintendenza Speciale di Roma
Roma, 10 maggio 2025
Non esiste arte che non sia, in fondo, un tentativo di ricostruzione. Ricostruzione del tempo, dello spazio, della memoria. In questo senso, Francesco Corni si presenta come un artista esatto, rigoroso, eppure poetico, visionario. La mostra Immaginare Roma. Le prospettive impossibili di Francesco Corni, allestita fino al 19 ottobre 2025 alle Terme di Caracalla, si offre come una retrospettiva analitica e al contempo onirica del lavoro di un disegnatore-archeologo che ha attraversato la storia non con il piccone, ma con la Rapidograph. A differenza del pittore che interpreta e dell’architetto che progetta, Corni restituisce. Ma lo fa come un artista concettuale che ha deciso di tradurre la classicità in una forma di esercizio mentale: la linea come operazione critica, la prospettiva come ipotesi e rivelazione. Le sue tavole, oltre sessanta, molte delle quali inedite, non sono solo rappresentazioni ma strumenti cognitivi, apparati logici che trasformano la storia in geometria emotiva. Non è una questione di estetica, ma di etica della forma. Il percorso espositivo, curato da Elisabetta Corni e Mirella Serlorenzi, si snoda attraverso due sale delle Terme, come due stanze del pensiero. Nella prima, la Roma topografica, si disegna la mappa del riconoscimento: dal Campidoglio al Foro Boario, passando per il Teatro di Marcello e il Portico di Ottavia. L’occhio non si limita a contemplare, ma viene guidato a leggere, a de-stratificare la superficie urbana per penetrare la densità storica. Qui il disegno diventa quasi un atto chirurgico: seziona, isola, confronta.
La tavola verticale che mostra le colonne del Portico inglobate negli edifici moderni del ghetto romano è un esempio di archeologia visiva e ideologica: la modernità come palinsesto, la storia come sovrascrittura. Il disegno, in Corni, non è un esercizio mimetico ma una forma critica. A differenza della fotografia, che documenta l’istante, la sua arte documenta la possibilità: la Roma che c’era e che può ancora parlarsi dentro l’oggi. Non a caso l’intera sezione è affiancata da una mappa del SITAR (Sistema Informativo Territoriale Archeologico della Soprintendenza Speciale di Roma), che diventa complemento teorico, quasi una legenda dell’immaginazione scientifica. La seconda sala è un atlante della Roma concettuale: quella dei sistemi, delle invenzioni, delle macchine urbane. Il Colosseo in costruzione è una sinfonia di elementi strutturali, un manifesto di ingegneria disegnata.
Le naumachie, il Circo di Domiziano, le Terme di Diocleziano e Caracalla sono oggetti di meditazione visiva, composizioni che affermano la capacità dell’arte di essere anche diagramma, progetto, esperimento. Corni è un artista della deduzione, un artigiano del sapere. Le sue prospettive non sono impossibili nel senso dell’assurdo, ma in quello dell’invisibile: sono ciò che non si può vedere, ma solo comprendere. Egli taglia, inclina, scompone come un analista che vuol far parlare le strutture. E riesce in un miracolo: far percepire l’interno e l’esterno, la funzione e la forma, la materia e il suo racconto. La sezione finale sulle sei tavole dedicate al Vaticano – dalla topografia degli Horti di Agrippina fino all’abbraccio berniniano – è un poema civile in forma di disegno. Come critico, è inevitabile qui pensare alla tradizione del disegno teorico: a Viollet-le-Duc, a d’Andrade, ma anche a Piranesi. Corni è erede e insieme innovatore. Dove Piranesi esaspera il dramma barocco delle rovine, Corni ricostruisce con l’ascetismo dell’umanista.
Ogni tratto è verifica, ogni spaccato è domanda. Ed è in questo che il suo lavoro si fa artistico: nella volontà di trasformare il documento in immagine critica, il dato in visione. La mostra, per altro, non si accontenta di celebrare l’autore. Lo espone, ma lo problematizza. Ci invita a chiederci quale ruolo possa avere oggi il disegno a mano nell’era dell’intelligenza artificiale, della grafica 3D, della realtà aumentata. La risposta è nelle parole della curatrice Elisabetta Corni: “Il disegno di mio padre ha una capacità di comunicazione che nessun render riesce ad eguagliare”. È vero. Perché il disegno di Corni non è simulazione, ma sintesi. Un caso emblematico: le tavole delle Terme di Caracalla. Corni ha lasciato incompiuta la tavola ricostruttiva del complesso. Ma proprio questa assenza si fa presenza. L’opera mancante è una dichiarazione di metodo: ogni tavola è ipotesi, mai conclusione. L’arte di Corni non è definitiva, è interrogativa. C’è un momento, nella vita dell’artista, che è divenuto mito: il suo viaggio da Torino a Roma in bicicletta, a 15 anni. Prima tappa: la Basilica di San Pietro.
E proprio San Pietro, con tutte le sue metamorfosi, chiude idealmente la mostra. Come a dire che ogni cammino nella storia, ogni tracciato artistico, è un ritorno. E un inizio. La mostra è stata organizzata con la cura e la sensibilità della Soprintendenza Speciale di Roma, guidata da Daniela Porro. Ma il vero cuore è nel metodo Corni: un modo di pensare che unisce lo storico dell’arte al teorico dello spazio, il conoscitore al poeta delle superfici. La sua opera si inserisce a pieno titolo in quella linea dell’arte italiana che ha sempre visto nel disegno non la preparazione ma il compimento: da Michelangelo a Boetti, da Piero della Francesca a Parmiggiani. Immaginare Roma è molto più di una mostra. È un manifesto. Un invito a credere nel potere euristico della mano, nella capacità dell’arte di essere strumento di verità. Corni ci consegna una Roma parallela, ma non alternativa: è la stessa, solo vista con l’occhio del sapere. E ci ricorda che il passato non è dietro di noi, ma dentro il nostro modo di guardare. Lì, in quel punto esatto dove la linea si fa storia.